Santiago, Italia

Un documentario struggente sul Cile del '73 e il suo colpo di Stato, ma anche e soprattutto sull'umanità e la solidarietà che abbiamo perduto

Santiago, Italia: la recensione
PANORAMICA
Regia (4.5)
Montaggio (4.5)

Il golpe cileno dell’11 settembre 1973, che pose fine al governo democratico di Salvator Allende per prestare il fianco alla violenta presa del potere e alla conseguente dittatura di Augusto Pinochet: un evento drammatico che ha segnato in profondità la controversa e travagliata storia del paese sudamericano, raccontato attraverso le testimonianze dei protagonisti e dei materiali d’epoca e d’archivio, con una particolare attenzione al ruolo dell’ambasciata italiana nell’accoglienza di coloro che fuggirono dalla codardia della brutalità.

Santiago, Italia, terzo documentario di Nanni Moretti, il regista militante più decisivo e moralista del nostro cinema (in senso buono, anzi: nel senso più alto del termine), è un film molto sentito. Apparentemente spiazzante e non lineare nel percorso del cineasta di Caro diario e Palombella rossa ma in realtà pienamente radicato negli interrogativi profondi e nelle urgenze espressive che hanno segnato tutta la sua carriera. Un insieme d’interviste, splendidamente montate, con in fin dei conti pochi interventi di repertorio, attaccato in maniera umile al flusso delle parole, dei volti, della Storia e del suo lato intimo e straziato, costellato di aberrazioni e crimini contro l’umanità.

Un film dolce con un cuore militante, ma non più, com’è facile immaginare, nei modi e nelle forme in cui Moretti lo è stato in passato. Mia madre, dopotutto, sanciva già il punto di ritorno del Nanni dimesso, defilato, sempre accanto a qualcun altro. Tale distacco coincide, anche in questo caso, con la prospettiva di una maturità artistica faticosamente conquistata. Con un’equidistanza che evita però, come la peste, la dittatura della retorica dell’imparzialità.

”Io non sono imparziale”, dice infatti Nanni Moretti dopo aver intervistato un detenuto cileno che fu torturatore e diretto protagonista di atti violenti ai danni dei suoi connazionali, Eduardo Iturriaga. Di fronte alle proteste dell’ex militare sulla prospettiva del film al quale sta prestando la propria voce, il regista chiarisce il suo punto di vista sulla vicenda con vigore ma anche con rigore, contro ogni buonismo annacquato.

”Ma perche piangi?” chiede invece più volte Moretti agli intervistati, uomini e donne, intellettuali e individui dal vissuto drammatico (molti di essi sono cileni trapiantati in Italia), quando si commuovono. In quell’incredulità un po’ stranita c’è tutta la sgomenta dolcezza con cui Moretti si sofferma sul Cile del ’73 per parlare, in realtà, dell’accoglienza che gli italiani riservarono ai cileni che arrivarono nel nostro paese. Squarciando il velo dell’indifferenza di chi guarda e della nostra, quotidiana, condivisa disattenzione e disaffezione.

Perché se è vero che ”l’Italia è stata una madre generosa e ospitale, mentre il patrigno Cile ci ha respinti”, è altrettanto evidente quanto quello stesso paese abbia oggi dimenticato un’idea di solidarietà ad ampio raggio, le radici di una lotta che negli anni ‘70 suonavano ideologica ma anche calorosa e umanissima. Il rimpianto di tutto ciò, nel finale, diventa non più un vagheggiamento tra le righe ma una coltellata a tutti gli effetti, un fendente che affonda nella carne delle nostre coscienze.

Lo fa, ancora una volta, senza altare i toni, con un pudore che è tenue, quasi rassegnato, sempre in filigrana. Il Moretti del 2018 sembra guardare con occhi vitrei e increduli il paese imbarbarito e dimentico di tutto nel quale siamo sprofondati, cercando una speranza e un rivolo di senso nel sentimento che le presenze del film lasciano trapelare con l’inesorabilità di un fiume silenzioso.

Ma questa si chiama democrazia”, ribatte ancora il regista a un suo interlocutore. E non c’è davvero da vergognarsi nel chiamarla per nome, di questi tempi dimentichi di tutto e tutti, del passato e probabilmente anche del futuro, pure a costo di sembrare banali e ridondanti. E Nanni Moretti, da uomo intelligente e in quanto tale da sempre restio a compiacersi e a parlarsi addosso, sa anche quando è il caso di correrlo, questo rischio. Per bagnare il risaputo di una luce nuova: più vivida, più giusta e decisa. Più umana. 

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