The Party

Una festa tra amici che sfocia in tragedia: il nuovo film di Sally Potter fa a pezzi la borghesia britannica

The Party, la recensione

Janet (Kristin Scott Thomas) è stata nominata Ministro del Governo Ombra, un risultato che corona al meglio la sua carriera politica. Lei e il marito Bill (Timothy Spall) decidono di festeggiare con gli amici più intimi nella loro agiata ed elegante casa londinese, ma delle rivelazioni sconvolgeranno gli equilibri dei presenti facendo emergere odi e schermaglie, destinati a scalfire il perbenismo liberal e l’ecumenismo di fondo delle loro posizioni. Tra ipocrisie viscide, rabbie represse, istinti bassi, rancori animaleschi.

L’ultimo film, che più britannico non si può, dell’inglese Sally Potter, passato in corso alla Berlinale 2017 e successivamente in anteprima italiana alla Festa del cinema di Roma, si affida a un cast corale estremamente ricco (oltre ai due protagonisti già citati anche Patricia Clarkson, il tedesco Bruno Ganz, il broker cocainomane Cillian Murphy, Emily Mortimer): un ensemble perfettamente accordato su un sovratono grottesco da black comedy, sempre stridulo e sempre acido, che oltretutto è amplificato dalla scelta di dare a questo kammerspiel casalingo e altoborghese, oltre alle tradizionali unità di luogo e di azione, anche un bianco e nero dal sapore espressionista, nerissimo, perfido.

È una scelta stilistica molto calcata e fin troppo sfacciata, quella della regista, oltre che furbetta e scaltra come l’assenza di colore al cinema può talvolta essere, se maneggiata con troppa faciloneria. Tutti i personaggi, dopotutto, sono già ingrigiti dal loro vissuto carico di frustrazioni e menzogne, per cui il b/n è un involucro a dir poco ridondante, che fa sembrare forzato e innaturale ciò che in partenza non doveva esserlo: una sottolineatura pedante, messa lì apposta per suggerire nemmeno troppo sottobanco l’intelligenza di chi osserva dietro la macchina da presa, con piglio più spesso giudicante che caustico.

Superato questo limite, che comunque non è una zavorra da poco, The Party fa comunque diligentemente il suo dovere nei suoi 71, rapidissimi e saettanti minuti di durata, perché ha dentro esattamente tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un film del genere: dialoghi sferzanti e al vetriolo, personaggi costantemente sull’orlo di un abisso, critica al pressappochismo dei salotti radical chic che riesce anche a non mettersi in posa a sua volta e a regalare delle battute molto efficaci, che potrebbero essere in prestito dal miglior Woody Allen. Basti pensare a quella meravigliosa stoccata agli atei che parlano con Dio casomai esistesse e li stesse ascoltando…

C’è dentro anche una strisciante satira sul mondo dell’accademia molto più che su quello della politica, fustigato in maniera assai più blanda a dispetto del titolo, dal valore chiaramente provocatorio. Un personaggio viene definito “lesbica di prima classe e pensatrice di seconda mano”, c’è una professoressa specializzata nelle differenze di genere nell’utopismo americano, ma anche il gender è preso a pretesto per suggerire delle nevrosi che vengono messe sul banco ma mai risolte fino in fondo nel tessuto della commedia (non siamo certo dalle parti della splendida serie Amazon I Love Dick, giusto per citare il miglior esempio in circolazione sull’argomento). Come fossero sintomi di un malanno impossibile da diagnosticare eppure evidente, malsano, purulento come pochi altri, che spalanca le porte a un finale che vira verso il macabro come a voler azzerare quest’indeterminatezza. A fare terra bruciata con la forza di una bomba atomica.

Mi piace: i dialoghi sferzanti e l’impianto generale di una sceneggiatura al vetriolo. 

Non mi piace: il b/n forzato, innaturale, giudicante, in linea con un approccio fasullo e insincero alla storia e ai personaggi.

Consigliato a: chi abbia voglia di vedere degli intellettuali perfetti e rifiniti abbrutirsi e prendere il controllo, scendendo a patti con i propri istinti più animaleschi.

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