Toy Story 4, la recensione

Il film diretto da Josh Cooley conferma la qualità di una saga che non smette di sorprendere, regalando divertimento e spunti di riflessione. In quantità industriali, e in puro stile Pixar

Toy Story 4
PANORAMICA
Regia (4.5)
Sceneggiatura (4.5)
Colonna sonora (3.5)

Woody non ha mai avuto dubbi: la forma più alta di realizzazione e l’occupazione più nobile, per un giocattolo, è prendersi cura del suo bambino. Andy è ormai andato al college e al suo posto adesso c’è Bonnie, che non lo tiene molto in considerazione, ma il senso di responsabilità dello sceriffo e il suo ruolo di guida non vengono meno. La situazione si complica quando, nel suo primo giorno d’asilo, Bonnie dà vita a Forky, una forchetta trasformata suo malgrado in giocattolo che è il più spassoso nuovo innesto di Toy Story 4, diretto da Josh Cooley e nuovo capitolo della saga d’animazione Disney Pixar.

Per salvare Forky Woody, doppiato per la prima volta da Angelo Maggi che ha sostituito il compianto Fabrizio Frizzi, dovrà fronteggiare una nuova incredibile avventura che lo porterà a fare i conti con i malefici abitanti di un negozio d’antiquariato incastonato in un luna park, i pericoli di un viaggio in camper con tutta la famiglia che prenderà una piega esplosiva e le insidie di vecchie e nuove responsabilità. Al suo fianco ci sono gli amici di sempre, a cominciare da Buzz Lightyear, ma anche il peso del tempo che è passato e il rimpianto di un vecchio amore, Bo Peep, che ha rinunciato alle comodità della vita domestica per abbracciare l’avventura selvaggia e la vita on the road.

Di Toy Story 4 colpisce, ancora una volta, la capacità di mantenere intatte la freschezza del racconto e la qualità dell’intrattenimento. Sono passati venticinque anni dal primo, epocale film, Toy Story – Il mondo dei giocattoli, con cui John Lasseter e soci avevano cambiato per sempre lo scenario del cinema animato contemporaneo, eppure ci si meraviglia, ci si diverte e si piange come fosse la prima volta. Dopo Toy Story 3, senza dubbio il più ambizioso e malinconico del franchise, non era affatto facile ripetersi, eppure il quarto film dedicato a Woody e Buzz ci ricorda dal primo all’ultimo minuto i motivi per cui continuare ad amare questi personaggi e le loro peripezie, nelle quali è possibile rintracciare tanto lo stupore e l’ingenuità della fanciullezza quanto i contraccolpi e le consapevolezze dell’eta adultà.

In quest’equilibrio, sottilissimo ma fondamentale, c’è tutto il genio di Toy Story 4, che prende le mosse dalla crisi esistenziale di Woody, non più sicuro di essere un giocattolo all’altezza del suo passato, per parlarci di accettazione della diversità. Invitandoci a guardare oltre le stranezze poco rassicuranti dei nostri nuovi vicini e a continuare a fare la cosa giusta, nonostante il venir meno dell’antico splendore, delle vecchie abitudini e comodità, dell’età dell’oro dell’infanzia (quanto rimpianto si respira, negli occhi di Woody, per il passato accanto ad Andy). Soltanto la Pixar, e probabilmente solo Toy Story, potevano permettersi di far ruotare un intero film sulla valorizzazione e l’educazione sentimentale di un giocattolo, buffissimo e sghembo (a dir poco azzeccata la voce italiana di Luca Laurenti), che crede di essere spazzatura e che intende fuggire dalla braccia della bambina che l’ha creato dal nulla ed è pronta a riversargli addosso tutto il suo amore, preferendole il ritorno nella pattumiera.

Dopo la presa di coscienza della Tristezza come combustibile indispensabile per ogni maturazione e abbandono dell’età dell’innocenza che si rispetti (il cuore metaforico del folgorante Inside Out), Toy Story 4 provvede perfino ad allargare, se possibile, la vastità del raggio d’azione e degli spunti di riflessione, con una sofisticatezza che non rinuncia alla semplicità gustosa e pirotecnica di un congegno narrativo pronto a regalare sorprese e colpi di scena a ripetizione. Un equilibrio di complessità e accessibilità che continua a parlare a tutti ma proprio tutti, indipendentemente dall’età, dai traumi personali e dalle prerogative più intime di ogni spettatore. Tutti motivi per cui l’animazione in CGI della Pixar continua a essere un avamposto di avanguardia indispensabile come pochi altri, una factory insostituibile capace di valorizzare al meglio i propri talenti più in ombra (Josh Cooley, guarda caso, è stato co-sceneggiatore e supervisore degli storyboard proprio di Inside Out accanto al regista Pete Docter) e di ipotizzare perfino un viaggio in un tunnel degli orrori, un po’ Piccoli Brividi un po’ noir americano anni ’40, con la lucidità e la passione di sempre.

Basti guardare il trattamento di Buzz Lightyear, meno impiegato in Toy Story 4 rispetto al passato, complice la centralità assegnata a Woody e al suo smarrimento, ma dotato, in compenso, di una prerogativa decisiva: una ritrovata “voce interiore” che regala al personaggio una nuova maturità e un’inaspettata presa di coscienza sul proprio ruolo sulla Terra, per lui che non ha mai smesso di essere un alieno proveniente dallo spazio profondo. Un elemento che fa il paio con gli altri pilastri di Toy Story 4: il rapporto tra Woody e Forky, che scomoda i significati più profondi della vita dei giocattoli, tra ruoli, responsabilità e dubbi morali; il dolore malefico di una bambola vintage abbandonata, Gabby Gabby, che sogna di prendere il tè con una bambina di nome Harmony ed entrare nel suo cuore; la struggente vanità di Duke Kaboom, “il più grande stunt-man del Canada”, doppiato in originale da Keanu Reeves e in italiano da Corrado Guzzanti e altra irresistibile new entry pronta a lanciarsi a mille all’ora, manco a dirlo, verso l’Infinito e Oltre.

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