Tramonto

Il nuovo dramma storico di László Nemes, il regista premio Oscar de Il figlio di Saul. In sala il 4, 5 e 6 febbraio con Movies Inspired

Tramonto: la recensione
PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (3.5)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (3.5)
Montaggio (2.5)

A Budapest, nel 1913, la giovane Irisz Leiter (Juli Jakab) giunge in città con l’intento di prestare servizio da modista nel rinomato negozio di cappelli che era stato di proprietà dei genitori, morti in un incendio quando lei era pressoché in fasce. Mentre il lavoro nella cappelleria prosegue frenetico e senza sosta, la ragazza, dopo un incontro rivelatore, decide di andare in cerca del fratello, l’unico legame che le resta col suo passato.

László Nemes è un regista ungherese quarantunenne che col suo precedente film, l’esordio Il figlio di Saul, aveva raccolto i favori della critica mondiale, conquistando il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2015 e il premio Oscar come miglior film straniero. Allievo di Béla Tarr, maestro magiaro suo connazionale e alfiere di un cinema d’autore titanico e senza compromessi, Nemes con la sua opera seconda, Tramonto, è sbarcato in concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia, a seguito di un rifiuto che si vocifera essere arrivato proprio dal festival francese.

Dopo un’immersione radicale e senza precedenti nell’orrore dell’Olocausto, tenuto  costantemente fuori campo per far posto all’accentramento di un protagonista silente e straziato e a una messa in scena di sensazionale virtuosismo, Nemes ha spostato la sua attenzione sugli albori della Prima Guerra Mondiale. Di analogo, rispetto a Il figlio di Saul, c’è il tallonamento maniacale e senza via d’uscita del corpo del personaggio principale, dei suoi movimenti e delle traiettorie del suo sguardo.

Una prospettiva che la macchina da presa sposa in toto, ma con un’ambivalenza di fondo. Da un lato l’impianto estetico coincide infatti col voto di castità di uno sguardo scarno e neutralissimo, tra focali corte, camera a mano e semi-soggettive. Totalmente genuflesso, in apparenza e in sostanza, al cospetto della sua interprete, che sembra quasi una maschera da cinema delle origini, fuoriuscita da un’opera di David Wark Griffith. Ed è perfino commovente che un cineasta possa perseguire un’ostinazione così estrema nel dirigere e nell’accarezzare un’attrice, portandola in maniera sommessa e sotterranea a esprimere tutto il suo enorme potenziale.

Allo stesso tempo, tuttavia, il ricercatissimo lavoro sull’immagine di Nemes, tanto sinuoso quanto stritolante, getta sul film un’ombra sinistra, un’ansia di controllo che più di un’occasione indulge nel formalismo e nel calcolo. Tramonto, non a caso, è un film claustrofobico nel quale è difficile districarsi, ma anche un gorgo espressivo che, col passare dei minuti, man mano che il manierismo dell’autore si scioglie e trova una misura, riesce a regalare dei lampi sontuosi di grande cinema.

Un’operazione controllata e feroce, che vive di fiammate, che necessita della pazienza di un’osservazione costante ma riesce, con un estremismo non privo di costrutto, a raccontare una storia alla fine della Storia e un personaggio femminile alle prese col materializzarsi delle ceneri e delle scorie di un intero secolo. Il tramonto del titolo è naturalmente quello dell’Occidente, pronto a lasciarsi inghiottire dagli strascichi di un conflitto, la Grande Guerra, che segnerà un prima e un dopo.

Un’apocalisse novecentesca, cavernosa e cupissima, restituita da un occhio clinico e di sconfinato talento, ma anche un prodotto meno risolto e compiuto, nelle sue gigantesche ambizioni, de Il figlio di Saul. Se quel racconto sconcertante sulla Shoah aveva infatti convinto perfino il grande Claude Lanzmann, a dispetto dei tanti pronti preventivamente a giurare sul contrario, Tramonto ha prestato il fianco a maggiori divisioni, a una ricezione più scivolosa e contrastata.

La speranza è che il proseguo della carriera di Nemes allontani la tentazione e l’abisso del manierismo, riducendo il suo cinema a a un grumo di potenza e rigore che in Tramonto è comunque presente, inalienabile, impossibile da ignorare.

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