Un sogno chiamato Florida

Il travolgente inno di Sean Baker alla bellezza infantile dell'America

Un sogno chiamato Florida

Orlando, in Florida, è la città del Disney World Resort, fabbrica di sogni infantili, tempio delle meraviglie. Eppure, come mostra The Florida Project, nuovo film di Sean Baker che ha chiuso il 35esimo Torino Film Festival dopo il passaggio alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes 2017, a due passi da quel magico portale, all’ombra di un mondo fatato e privo di crepe, ci sono i luoghi di chi vive combattendo e arrabattandosi ogni giorno. Un sottobosco di bambini che si muove al di sopra delle regole con contagiosa, insolente vitalità.

Sono Mooney (la strepitosa Brooklyn Kimberly Prince), Scooty, Dicky, Jancey, abitano in Motel insieme squallidi e candidi, dai colori pastello e dalle tinte accese, che richiamano anch’essi i nomi e le avventure disneyane, se non fosse che sono, in realtà, l’ultima spiaggia per chi non può permettersi una casa.

Sean Baker è uno dei registi e delle voci dell’indie americano che più hanno catturato la quintessenza periferica degli Stati Uniti contemporanei, facendone il cuore pulsante di un cinema mobile, sempre in movimento, che nello stare ai margini sa trovare la propria dimensione narrativa, sentimentale, perfino politica. Muovendosi sempre, come in un luna park, in una cupa oasi di divertimento sfrenato

Dopo aver scorrazzato per la losangelina Tinseltown armato di iPhone 5s nel travolgente Tangerine, questo cineasta spassionatamente affascinato dalla solarità e dalla vitalità dei reietti, raccontati con sincerità mai ambigua e giudicante, con The Florida Project si è spostato a Orlando, nei cui sobborghi ha collocato una sorta di odissea fanciullesca dal basso, in cui a svettare è anche Willem Dafoe, manager di motel alle prese con uno dei personaggi più belli e sorprendenti della sua carriera.

Un viaggio a misura di bambino ripetitivo e ridondante nella struttura ma composto da singoli momenti di bellezza accecante, fatto di privazioni ma anche di bisogni disperati, con un’esigenza strisciante d’amore ad amplificarne il respiro poetico e a farne un piccolo grande gioiello. Un frammento di vita e di eccentricità sottratto alle strettoie e alla dittatura del buon gusto e di tanto cinema per bambini e ragazzi banalmente educativo e intimamente reazionario.

The Florida Project è un lavoro che, esattamente come il precedente, acclamato film del suo regista, Tangerine, trova nell’eccesso e nelle sue prerogative, che non sono mai un muoversi sopra le righe fine a se stesso, una misura tutta sua, una bellezza riottosa, non riconciliata, urlante. Una grazia rivoluzionaria, da stringere al cuore.

Mi piace: la leggerezza anarchica del film, la sua vitalità contagiosa, sgargiante, che non rinnega il cattivo gusto ma lo incorpora dentro di sé

Non mi piace: le ridondanze della narrazione, che sono tuttavia parte integrante del gioco

Consigliato a: i fan del cinema indipendente americano più squinternato e sorprendente

Voto: 4/5

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