Vice – L’uomo nell’ombra

L'ultima, grande trasformazione di Christian Bale e il cuore malato della politica statunitense

Vice - L'uomo nell'ombra
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (3)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (2.5)

Dick Cheney (Christian Bale), vice-presidente più potente della storia americana, viene considerato da tanti osservatori il “vero numero” della Casa Bianca durante l’amministrazione di George W. Bush: da operaio elettrico del Wyoming col vizio dell’alcol che era, nei lontani anni ’70, l’ascesa di Cheney lo portò a diventare una figura vampiresca e imperturbabile, nascosta a dovere dietro le trame oscure del suo paese. Un gran burattinaio dell’imperialismo USA, responsabile di molte mosse decisive nello scacchiere bellico internazionale.

Tre anni dopo La grande scommessa, Adam McKay torna ad affrontare di petto l’America e il suo lato oscuro, a sconquassare l’immaginario a stelle e strisce con un film di grandissima ironia, indispettito e feroce come pochi altri biopic realizzati oltreoceano. Dalla crisi economica generata all’esplosione della bolla dei mutui subprime nel 2006, il regista e comedian, al servizio di molti film con protagonista Will Ferrell (e altrettanta televisione), è passato all’esplorazione, di un sarcasmo quasi cruento, di una figura chiave degli ultimi decenni di politica americana.

Un uomo indecifrabile, quasi andreottiano. Su quanto Vice – L’uomo nell’ombra sia quanto di più vicino a Il divo di Paolo Sorrentino sia stato fatto in America negli ultimi anni, dopotutto, si potrebbe discutere a lungo. Ma quel che più conta è che il film è uno sberleffo che dice cose serissime, che racconta molto delle origini della confusione politica e sociale di oggi guardando al passato recente del paese più potente e influente del mondo, al suo rimosso, ai suoi interessi intricati e, almeno in parte, impalpabili.

Un cumulo di segreti occultati a dovere e di polvere nascosta sotto il tappeto a regola d’arte, in cui la tragedia, quella fatta di figure statuarie, dal cono d’ombra gigante, coincide amabilmente e allo stesso tempo disperatamente con la parodia. Con la tentazione della farsa, della risata ottusa e liberatoria. Si tratta di un registro fortissimo e di sicuro influente, forse addirittura distante dalla verosimiglianza propriamente detta (l’altra differenza con il Il divo è che non simpatizza con il proprio protagonista, ma è denigratorio e dichiaratamente di parte).

Vice – L’uomo nell’ombra infatti non va assolutamente preso come una biografia e piuttosto come un tentativo esaltante di rivitalizzare la nozione di politicamente scorretto, di questi tempi sempre più svilita e normalizzata. Il fatto che McKay lo faccia attraverso attori monumentali – Bale è Cheney, Steve Carell uno stridulo Donald Rumsfeld, Sam Rockwell un caricaturale e gustoso George W. Bush – e gli strumenti tipici della ricostruzioni di questo tipo (una sceneggiatura di ferro, oltre alla mimesi da Oscar degli interpreti) non significa che non ci troviamo di fronte un prodotto spaventosamente originale.

Un film rabbioso verso la mostruosità che addita, guidato da un’irriverenza graffiante in cui la satira cui si accennava dal punto di vista di chi scrive e dirige è chiaramente l’ultima, possibile riformulazione della realtà, a tal punto da deformare i connotati del film stesso: finto finale provocatorio a metà film, l’invettiva del regista verso la superficialità ottusa dei dibattiti politici contemporanei che prosegue addirittura oltre la conclusione (e si mescola, fatalmente, al cinema commerciale e a Fast & the Furious), titoli di coda sulle note di America di Leonard Bernstein e Stephen Sondheim (brano di West Side Story), perfino un soliloquio shakespeariano travestito da dialogo a letto tra marito e mogie.

Legittimo, al netto di tutto, arricciare il naso al cospetto di un innegabile e ossessivo compiacimento senza cuore. Impossibile, allo stesso tempo, negarne la potenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA