Simone Recchia (Fabio De Luigi) è un maresciallo della Guardia di Finanza goffo in amore ma irreprensibile sul lavoro: fa trottare tutti i suoi sottoposti, che sono arrivati a sperare che si fidanzi così da avere carichi di lavoro meno massacranti. Claudia (Miriam Leone), è una restauratrice precaria alla quale non resta alcun sussidio se non la pensione della nonna (Barbara Bouchet). Quando l’anziana passa a miglior vita, decide insieme alle amiche (Lucia Ocone e Marina Rocco) di congelarla in un freezer e continuare così a intascarne i soldi del sussidio mensile. Sulla sua strada finirà però proprio Recchia, che si innamorerà di lei: come conciliare amore e legalità?
Metti la nonna in freezer dei semi-esordienti Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi rientra in quella manciata di opere che provano a forzare lo schema, spaventosamente logoro, della nostra commedia commerciale, verso qualcosa d’altro e di diverso. Perlomeno nelle premesse, nelle parti e negli elementi in campo, nelle sembianze non solo estetiche. A cominciare dai colori acidi di Valerio Azzali: questa vena cromatica, che si sintonizza su tonalità che sono sgargianti ma allo stesso tempo corrosive e stranianti (siamo uguali ma anche diversi, direbbe qualcuno), sembra essere una cifra del nostro cinema giovane di questi tempi, da Smetto quando voglio in giù.
Metti la nonna in freezer è però un film più accomodante e zuccheroso rispetto alla carica di ironia macabra e gustosa cattiveria alla quale si potrebbe pensare guardandolo dall’esterno. Non c’è una crudeltà tale da impedire che tutto si stemperi nella carineria del romance tra l’opportunista dal cuore d’oro di Miriam Leone e il solito De Luigi dalla gigioneria impacciata: una storia d’amore un po’ da screwball comedy, per scomodare un modello elevato che forse è più calzante della black comedy alla fratelli Coen per definirlo. Perché l’ironia fosca, se c’è, è votata più alla gag da cartoon o di scrittura, precludendosi così l’accesso al grottesco e all’amarezza che così tanto mancano alla commedia italiana dei nostri giorni, troppo spesso incapace di leggere la realtà oscena e paralizzante del precariato giovanile e sentimentale con nuovi filtri, che non siano solo pittorici.
È indubbio però il mestiere dei giovani e bravissimi Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, avvezzi ai linguaggi comunicativi del web (era loro il trailer parodico Inception Berlusconi): due illustratori di ottimo livello (valorizzati senz’altro dalla Indigo Film di Nicola Giuliano e Francesca Cima in cabina di produzione), che sanno valorizzare in maniera pimpante gli snodi migliori e più frizzanti del copione del valido Fabio Bonifacci, che a sua volta rimette mano alla commedia nera dopo Amiche da morire, con uno spunto analogo, e lo fonde vagamente a Weekend con il morto. A colpire sono soprattutto i loro raccordi di montaggio, freschi e inventivi, pieni di colpi di coda, frutto dell’evidente capacità di lavorare sulle transizioni attraverso storyboard precisi e squadrati eppure fluidi, come fossero tavole da fumetto: che due registi alle prese con il loro primo lungometraggio per la sala si dimostrino in grado di pensare per immagini, per di più all’interno di un impianto commerciale, è senz’altro un’ottima notizia.
Nota di merito finale anche per Miriam Leone, che si conferma attrice dotata e sfaccettata, nel registro brillante come in quello tragico e buffo, mostrandosi a suo agio persino nella simulazione a briglia sciolta della psicopatia e della schizofrenia.
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