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L’ultimo treno della notte

L’ultimo treno della notte

Agosto, 2023. Sono al mare. Nel posto più bello del mondo: Porto Cesareo.

Sono in acqua sotto l’ombrellone, e squilla il telefono. Non rispondo per evidenti limiti di ubiquità, ma non ne avrei comunque alcuna intenzione. Un collega, che mi sta anche molto simpatico, mi lascia allora un vocale in cui mi dice che mi cerca: ha un film importante da propormi. Sono in vacanza, penso. Che chiamasse Massimiliano, il mio agente. Oh, lo fa. Lo chiama. E allora chiama Massi e mi dice che niente, c’è questa persona che mi sta cercando. Ha mandato una cosa da leggere.

Ora, voi non lo sapete, ma quando qualcuno mi manda qualcosa, se segue la procedura e la manda prima in agenzia, io la leggo. Una volta, un tizio, mi ha mandato una sceneggiatura di quasi 400 pagine. Dopo una settimana ha chiamato il mio agente, lamentandosi che non l’avessi letta. Allora mi chiusi in casa per un giorno e una notte e la lessi tutta. Poi mi feci dare il numero di questo tizio. Gli dissi che l’avevo letta e l’avevo trovata repellente e che avevo scritto dieci pagine di appunti sul perché l’avessi trovata così brutta e lui mi chiuse il telefono in faccia. Ecco, da allora Massimiliano screma, dovrebbe farlo, ma io poi mi sento in colpa e comunque leggo tutto.

Allora dopo pranzo, conclusa con successo la mia battaglia con l’ennesima frittura di pesce, mentre il mio amico Franco si appisola satollo, io mi siedo sotto la tettoia e leggo. È un casino, ma qualcosa c’è. Rifiuto però, dopo averne parlato con Massi, perché ho altre cose che decido prioritarie da fare. Poi quelle cose si ridimensionano, poi sento di nuovo quel mio collega che ci tiene davvero tanto che io sia con lui, poi incontro il produttore del film e alla fine decido di lasciare stare tutto, e farlo. Ok. E lì inizia il disastro.

Da quel punto partono le bugie, i ritardi, gli incredibili incroci di persone e di situazioni per cui il film slitta la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta volta. Le riprese, che dovevano finire entro il 2023, non sono mai partite. Bugie, piccoli insulti, sessioni di ghosting che nemmeno a quindici anni ho subito, promesse non mantenute che nemmeno il peggior Babbo Natale bastardo. Intanto, io, faccio l’unica cosa che so fare: lavorare sulla sceneggiatura, sul personaggio, essere il più possibile pronto.

Intanto, ho un contratto: rifiuto tutto quello che mi viene proposto, non posso. Tutti sanno che devo fare quel film, quindi nemmeno mi propongono altro. Sono lì, in attesa attiva, pronto. E intanto pago affitti, mutui, assicurazioni, la spesa, la benzina, che la vita mica è solo aperitivi e festival di cinema in posti da ricercare sulla cartina.

Questo è un lavoro difficile, in molti e troppi ambiti è ancora artigianato puro, da bottega, da sedie impagliate e comodini da restaurare, dove trovi una lettera mai spedita a una giovane innamorata scritta a mano anni fa da qualcuno, in un cassetto mai aperto. Pazienza. Ti dici. Pazienza. Perché ce ne vuole. E intanto lo sai che tu sei tu anche se qualcuno potrebbe dimenticarselo. Tu non vai mica via, da quel sedile scomodo ma su cui sapevi di dover passare un lungo pezzo del tuo semestre, come quando prendevi l’Intercity notturno da Trani e ci metteva sette ore per arrivare a Roma, e se eri fortunato eravate solo in due, nella carrozza, e magari stendevi i piedi e il controllore chiudeva un occhio, se tu li avevi chiusi tutti e due. Pazienza.

Passano i mesi e tu aspetti. La vita scorre. E perdi treni, perché stai seduto su un convoglio su binario morto. Agosto 2023 inizia il calvario, gennaio 2024 scendo mestamente dalla carrozza con la mia valigia. Mi do una sistemata, rimetto il sorriso e raggiungo di nuovo il tabellone delle partenze. Il prossimo è il treno mio.

Buon 2024. Aspettate con me, mentre annuncia i ritardi?

 

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