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Vado al massimo…con ostinazione

Vado al massimo…con ostinazione

L’una e venti di notte.

Oggi pioveva, di quella pioggia fine che taglia le guance e non lascia solchi, ma non impara mai ad accarezzarti. Oggi pioveva di quella pioggia che non è diventata grande abbastanza per impedirti di uscire, ma nemmeno è rimasta bambina da scendere senza che tu possa accorgertene. Oggi pioveva senza farlo apposta. E quella pioggia ti resta attaccata nel cuore, nell’umore e nello spirito. E tu ci devi fare i conti.

Oggi pioveva sul set. Ma eravamo in interni e non ci impediva di girare. Ma guardavo fuori dalla finestra e pioveva anche nei miei pensieri. “Sono qui”, pensavo. Provo a dare il massimo. Il “massimo” non è sempre davvero tutto quello che puoi dare. Il “massimo” si proporziona, e impara a porzionarsi. Le “situazioni date” sono tutto nel mio lavoro. Parti da quello che hai, da quello che è. E dai tutto quello che puoi. Ma deve girare tutto al meglio, attorno a te, o quel “massimo” sarà sempre meno di quanto avresti dato in altre condizioni, anche solo impegnandoti la metà. È così, e devi adeguarti. I set non sono tutti uguali.

Magari alle volte ti scontri con qualcuno che è al suo primo film e ti ricordi com’era quando eri tu, ai primi film. Quando iniziai, prima di esordire per bene con Avati, feci tre pose (che sono i giorni di lavoro sul set per gli attori) su una fiction che andava in onda su Rai Uno. Mo non vi dico qual era perché sto per raccontarvi una cosa. Al regista stavo antipatico. Boh, perché. Così. Era un signore già “adulto”, dove per adulto vuol dire che i sessanta erano un ricordo e i settanta stavano arrivando.

Gli stavo antipatico, o forse ero giovane e non capivo; o forse, semplicemente, si era svegliato male e io ero l’ultima ruota del carro. Si impuntò sul modo in cui dicevo una battuta. Che ovviamente era scritta male, ma tu a 25 anni dici solo “sì, scusate” e speri di imbroccarla. Mi insultò, anche pesantemente. Mi urlò contro. Mi disse che “non capivo veramente un cazzo” (cit.). Si chiese più volte chi “mi ci avesse mandato” e insultò l’aiuto regia (perché tre pose su una fiction le sceglie l’aiuto, mica si sporca le mani il regista per decidere…) e chiunque “mi avesse portato”. Fu umiliante.

Se non apparisse costantemente sul mio curriculum, non ricorderei nemmeno chi fosse, quel regista. Vabbè, io adesso a quarant’anni preferirei non essere così. Mi piacerebbe non arrivare a questo livello. Ma ogni tanto mi arrabbio, e mi chiudo in camerino per non sbroccare. Perché io tengo tutti i problemi fuori dal set, ma poi è difficile tenere i problemi del set fuori dalla vita. Allora se litigo con la mia fidanzata non inficia il lavoro con la troupe, però se succede qualcosa sul set alla fine litigo con la mia fidanzata. Si morde la coda e si fa male, questo cane. È che però sono impreparato. Alle relazioni, alle reazioni. Arrivo sul set, so a memoria le mie battute, ho studiato il personaggio, ma poi non so cosa accadrà. Eppure non posso fare a meno di ritornarci. E di sperare di ritornarci. E di fare di tutto per ritornarci. Senza sapere cosa succederà.

“Mattina dopo mattina per cinquant’anni, ho affrontato la pagina a venire senza difese e impreparato. L’ostinazione, non il talento, ha salvato la mia vita” scriveva Philip Roth. L’ostinazione, quella mi salva la vita. L’ossessione. Io ne ho una: vincere il David di Donatello. Si sa, lo sanno tutti. Ostinato e sognatore. Perché quando nella mia vita ho perso di vista l’obiettivo, ho perso motivazioni ed entusiasmo. L’ostinazione. Che alza il tuo livello di sopportazione. Oggi, quando vado sul set, c’è come un’aura di “bravura acquisita” che mi circonda. Mica vero. Sbaglio eccome. È bello sentirsi stimati, ma io me lo ricordo ancora come mi trattò vent’anni fa per un paio d’ore quel regista di cui non ricordo il nome. Poi arrivò l’attore principale, che era popolare ma non era bravo, per girare la scena dopo e tutto si calmò. Ma io no, non mi calmai. E da allora sto ancora così. Che non so se le ho dette bene, le battute. Ma torno sul set, ostinato.

Ed è così che ogni giorno che dio manda in terra, da ateo, sopravvivo

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