Da icona gotica a supereroe fantasy: la recensione di Dracula Untold

Il vampiro di Bram Stoker torna al cinema in un reboot che gioca con generi e citazioni, tra 300, Il Trono di Spade e... Spider-Man!

Può un’icona dell’horror gotico essere sradicata dal suo contesto d’origine per entrare nel territorio, ben più attuale, del fantasy dark? Per Gary Shore la risposta è sì, dato che il regista in Dracula Untold prende il vampiro creato da Bram Stoker e ne reinterpreta le origini, immergendo il personaggio in una dimensione per lui inedita. Piccola digressione storica: Dracula non è altri che Vlad III, principe di Valacchia (Transilvania), feroce guerriero soprannominato l’Impalatore a causa del modo con cui amava trucidare le sue vittime in battaglia e tra le mura del suo castello. Se a questo aggiungiamo il fatto che a volte si dilettava nel dissanguarle, è facile capire perché sia stato trasformato nel leggendario Nosferatu.

Dracula Untold descrive la genesi del Re delle tenebre, proponendo un’immagine di Vlad lontana da quella radicata nella memoria collettiva: col volto e il fisico statuario di Luke Evans, il Principe è un eroe romantico con un passato di morte e distruzione alle spalle, e si vota all’oscurità solo per amore della sua famiglia e del suo popolo, minacciati dall’esercito turco. L’idea di fondo è interessante, perché realizzata attraverso un mix di linguaggi che vanno dal fantasy metal contemporaneo all’action movie e al cinecomic. Un pastiche di tutto l’intrattenimento pop degli ultimi anni, con un incipit che visivamente ricorda 300 (modello imprescindibile, ormai, per le scene di combattimento in slow-mo), e continui rimandi scenografici a cult come Il Trono di Spade e Il Signore degli Anelli. L’aspetto più sorprendente, però, è quanto il protagonista sia vicino a un supereroe: non appena scoperti i suoi nuovi poteri – supervelocità, forza sovrumana, sensi iper-affinati, capacità rigenerante -, Vlad li testa come se fosse un Peter Parker qualsiasi, spaccando rocce, trasformandosi in uno stormo di pipistrelli, e infuocando i suoi occhi manco stesse per sparare raggi laser in stile Superman. Siamo al di là del semplice soprannaturale, all’interno di una dimensione più fumettistica. E la sete di sangue umano? Rimane e lo divora – insieme all’allergia a sole e argento -, ma come un alcolizzato in astinenza Vlad cerca di resisterle per non sprofondare nel buio eterno.

Un simile taglio commerciale non può che scontrarsi con il modello originale. Nel romanzo di Stoker, Dracula è una figura difficile da inquadrare, perché mostro succhiasangue da una parte, e anima solitaria e vulnerabile dall’altra. Nel film di Shore è quest’ultima a prevalere, e con una caratterizzazione del genere il personaggio perde tutta la sua drammaticità e dannazione, uscendone snaturato: la strategia narrativa di base si rivela un boomerang, e la sceneggiatura trascura elementi chiave come il complesso rapporto tra protagonista e religione, da sempre centrale. Più che un prequel di ciò che sarà, il film assume i contorni di uno spin-off. E il vero Dracula fatica a riconoscersi.

Mostrare la faccia buona del cattivo sembra essere diventata la nuova tendenza di Hollywood: con Maleficent è valsa 756 milioni di dollari nel mondo, ma Dracula Untold rischia di andare incontro alla stessa sorte di I, Frankenstein, altra operazione simile per caratteristiche che però non ha convinto critica e pubblico. Il cinema di oggi sottopone a pratiche di reboot qualisasi cosa, ma certe icone è meglio non dissacrarle.

 

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