Festival di Roma 2012, parte il revival anni ’50: un po’ di Audrey e un po’ di Marilyn in Populaire

Una commedia romantica, buffa e dolcissima, illumina la rassegna capitolina

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Ancora un film che riesce a strappare un lungo applauso alla fine della proiezione per la stampa quello presentato stamattina nella sezione Fuori Concorso del Festival di Roma 2012. E anche questa volta – dopo Main dans le main – di tratta di cinema francese: parliamo di Populaire, commedia romantica e brillantissima di Régis Roinsar, che riesce a ricreare l’atmosfera del cinema pop anni ’50, grazie anche all’interpretazione straordinaria di Romain Duris (L’appartamento spagnolo), Déborah François (L’Enfant) e Bérénice Bejo (The Artist).

Ambientato nel 1958, il film ha come protagonista Rose Pamphyle (la François), 21enne che vive con suo padre, titolare dell’emporio di un piccolo villaggio della bassa Normandia. Rose è promessa in sposa al figlio del proprietario dell’autofficina di paese e l’attende un destino di casalinga docile e devota. Ma la ragazza ha ben altri sogni nel cassetto e per questo motivo decide di partire per Lisieux, dove riesce a farsi assumere come segretaria dal titolare di un’agenzia di assicurazioni, Louis Echard (Duris). Il quale scopre che la ragazza ha un dono: riesce a battere i tasti della macchina da scrivere a una velocità impressionante. Questa sua predisposizione naturale risveglia in Louis il lato più competitivo e ambizioso; decide così di iscrivere la ragazza a una gara di velocità dattilografica. Quando i successi cominciano ad arrivare, sempre più clamorosi, la competizione e la conseguente fama di Rose rischiano però di rovinare il rapporto romantico tra i due sempre sul punto di sbocciare.

A seguito della proiezione, il regista Régis Roinsard, la protagonista Déborah François e il produttore Alain Attal hanno incontrato la stampa per parlare del film.

Da dove è nata l’idea per questo film e soprattutto come mai i francesi riescono, negli ultimi anni, a fare film perfetti che gli permettono anche di vincere l’Oscar?

Régis Roinsard: «L’idea di questo film nasce casualmente, quando un giorno mi sono imbattuto in un documentario che raccontava la storia dei campionati di dattilografia. Da quel momento ho iniziato a studiare, a cercare informazioni: il documentario ha risvegliato in me la voglia di creare una storia d’amore che si mischiasse a questo “sport”. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, in questi ultimi anni c’è un modo nuovo di lavorare in Francia, senza complessi, diamo libertà ai registi e osiamo cose che nessuno si aspetterebbe. Forse è per questo che i nostri film stanno avendo diverso successo».

Questo film è un’opera prima, e per gli sceneggiatori era il primo script, ma invece lei Attal come produttore ha già un discreto successo alle spalle. Com’è stato realizzare questo film?

Alain Attal: «Ovviamente ci sono state diverse difficoltà da affrontare, la scommessa era grande, all’inizio il progetto era ambizioso e troppo costoso, essendo anche un film d’epoca, ma l’idea ci piaceva molto e abbiamo deciso di proseguire. Costato 15 milioni di euro, è tra i film francesi piu onerosi degli ultimi dieci anni».

Come mai ha deciso di raccontare un’epoca che non ha conosciuto nella sua opera prima?

Régis Roinsard: «Sono un fan degli anni ’50 e ’60, non so perchè ma ho l’impressione di essere nato in quegli anni. Tutto mi affascina, i vestiti, le macchine, le pettinature, soprattutto il cinema di quel tempo».

Rose è un personaggio trasgressivo, per quel periodo, ma anche per l’oggi. Le è piaciuto interpretare il personaggio?

Déborah François: «Per me è stato stupendo interpretare Rose, l’ho trovata un personaggio irresistibile, non ha filtri rispetto agli uomini, all’autorita, osa parlare, quello che mi piace è che non rivendica niente, non è una suffragetta. Si è guadagnata da vivere, a quel tempo essere una segretaria era andare contro tutti e tutto per una che veniva come lei dalla provincia, ed è questa la cosa che più ho adorato».

Registicamente ci sono molti riferimenti agli anni ’50, ma la scena di sesso nel film è una scena moderna che non si sarebbe potuta girare in questo modo in quegli anni.

R.R.: «In quasi tutte le scene del film mi sono limitato a esprimere ciò che era dentro di me, non volevo niente di nostalgico, non volevo fare una parodia, ma un film più moderno possibile».

D.F.: «La scena d’amore era da fare come se il regista in quegli anni avesse avuto la possibilità di girare come voleva, anche se non poteva. E’ a questo che abbiamo pensato mentre giravamo».

Ci dica due scene e due film che sono stati i suoi modelli.

R.R.: «Tutti film degli anni ’50, mi sono ispirato a James Stewart, Cary Grant, ma ho creato un personaggio nuovo. Rose è una ragazza della sua epoca, è fan di Audrey Hepburn, Marilyn Monroe. Questi erano i suoi modelli, che cerca di imitare anche con il look. E’ un po’ come se oggi vedessimo appesi alle camere delle ragazze i poster di Britney Spears o Lady Gaga».

Déborah François aveva mai utilizzato la macchina da scrivere prima e come ha imparato a battere così velocemente?

D.F.: «La prima volta che mi sono cimentata con la macchina da scrivere è stato con mio padre, a cui ho chiesto aiuto prima del casting, perché volevo essere super motivata. All’inizio anch’io, come la protagonista, battevo a macchina solo con due dita, ma poi mi sono allenata per quattro mesi, due/tre volte a settimana, avevo una coach e mi allenavo anche durante le pause delle riprese».

R.R.: «Tutte le sequenze in cui batte a macchina sono fatte da lei, alcune volte con il gioco del montaggio, ma le mani sono le sue. Avevamo anche una controfigura sul set ma non ne abbiamo avuto bisogno».

Le scene dei campionati sono davvero sorprendenti, il tutto sembra una coreografia. Come si è approciato a queste scene?

R.R.: «Ho voluto che i campionati fossero sempre più sorprendenti mano a mano che il film proseguiva. Si inizia con le regionali, che ho deciso di riprendere come un documentario, per far scoprire allo spettatore di che cosa si tratta. Poi sono passato a filmarlo come uno sport, una disciplina, ma in modo statico. Più si va avanti con la storia più aumentano i movimenti, senza mai stancare lo spettatore. Anche nell’uso della musica ho usato la stessa tecnica, partendo con musica anni ’50 fino ad arrivare al rock, per mostrare che tutto comincia ad andare rapidamente. Ho voluto realizzare un film che racconta la velocità, proprio perché in quegli anni ricercavano la velocità ovunque».

(Foto Getty Images)

 

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