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Javier Zanetti: Capitano da Buenos Aires, storia di una bandiera. Recensione e clip

Diretto da Simone Scafidi e Carlo Sigon e prodotto da FC Internazionale, il film sbarca nelle sale con un unico evento il 27 febbraio

Javier Zanetti: Capitano da Buenos Aires, storia di una bandiera. Recensione e clip

Diretto da Simone Scafidi e Carlo Sigon e prodotto da FC Internazionale, il film sbarca nelle sale con un unico evento il 27 febbraio

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«Volevo raccontare la storia straordinaria di un uomo comune. Ma forse, Javier Zanetti tanto comune non lo è». Sono le parole dello scrittore argentino Albino Guaron, che sul campione ha scritto il suo ultimo romanzo e ora fa da voce narrante al documentario Javier Zanetti: Capitano da Buenos Aires, diretto da Simone Scafidi e Carlo Sigon e prodotto da FC Internazionale, il 27 febbraio nelle sale con un unico evento (ma doppia proiezione, alle 20.30 e alle 22.45). Al di là del tifo d’appartenenza, è un prodotto che funziona: si iscrive all’interno del lungo rapporto tra cinema e sport e dei film sportivi possiede gli ingredienti fondamentali come la forza di volontà, la motivazione, e il profondo significato simbolico di vittorie e sconfitte.

La storia di un personaggio universale come l’ex capitano nerazzurro (ora vicepresidente della società di Thohir) è raccontata in un modo che vuole allontanarsi dal classico documentario. Lo stile è più vicino a un biopic, con un narratore poetico e quasi onniscente (Guaron), la cui vita scopriamo procedere in parallelo con quella del protagonista: curiosi, infatti, sono gli incroci tra l’autore e Zanetti, avvenuti per altro in momenti fondamentali della vita del terzino come il volo verso Milano per firmare con l’Inter e la finale Uefa del 1997 persa contro lo Shalke 04 ai rigori, dove il Capitano si arrabbiò con Hogdson (l’allenatore di allora) per una sostituzione mal digerita, unico episodio di ribellione della sua carriera.

Il punto di vista della storia, quindi, è esterno, utile per infondere obiettività alla narrazione: Zanetti, «attore capace di interpretare qualsiasi ruolo il regista gli affidasse» (per citare la metafora cinematografica utilizzata da José Mourinho), non compare mai in prima persona, ma viene descritto da coloro che gli sono più vicini: dal padre Rodolfo alla moglie Paula, passando per compagni di squadra, allenatori, amici. Ognuno dei quali, tra ricordi e aneddoti, spende parole oneste, divertenti e mai banali, evidenziate da un montaggio che rende i singoli interventi dialoghi di una sceneggiatura fluida e lineare. Ad alzare il livello emotivo, infine, ci pensano le immagini di repertorio, che mostrano le origini del calciatore e il percorso che l’ha reso l’ultimo eroe buono di un ambiente troppo spesso inquinato da scandali e polemiche. Gli interisti passeranno un’ora e mezza nostalgica, ammirando la stagione del triplete e applaudendo l’idolo Mourinho che ripensa commosso al suo giocatore. Gli altri, invece, si godranno una favola sportiva semplice, senza particolari colpi di teatro. Ed è proprio questa caratteristica a renderla unica.

Di seguito, una clip tratta dal film:

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Foto HP: Getty Images

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