La quiete dopo la tempesta: intervista agli autori del romanzo a fumetti

Alla scoperta del Porto Proibito, romanzo grafico che omaggia i classici dell'avventura per mare. Interamente disegnato a matita, sulle orme di Louis Stevenson. Ne parliamo con i suoi creatori Teresa Radice e Stefano Turconi

Il porto proibito è un libro piccolo e compatto: è alto un pollice e mezzo. Le pagine sono segni neri di matita su sfondi bianchi, il lettering è pulito, con piccoli vezzi  “d’epoca”, il corsivo alternato al grassetto. Il mondo che si evoca nello sfogliarlo è lo stesso di tanti romanzi d’appendice di fine Ottocento, storie di galeoni e tesori nascosti, capitani coraggiosi e burrasche in mare aperto. La storia, insomma, attinge a piene mani dall’immaginario generalmente associato a Louis Stevenson e alla sua Isola del tesoro, un immaginario che al cinema ci ha dato, anche di recente, film d’avventura bellissimi come Master and Commander di Peter Weir, e che nel mondo delle nuvole parlanti avevamo già esplorato, negli ultimi anni, con Tre Ombre di Cyril Pedrosa.

Il porto proibito è, insomma, un romanzo grafico in tutto e per tutto, e al romanzo – nella sua accezione tradizionale – più che al media-fumetto andrebbe associato. Su questo Teresa Radice e Stefano Turconi, i due autori, compagni anche nella vita, sono più che d’accordo: è l’avventura di un ragazzo che parte per mare per (ri)scoprire la vita e l’amore, un coming of age di grande respiro senza un target preciso, e diretto invece a chi ami perdersi tra spruzzi di schiuma e cieli in tempesta. Turconi viene dalla scuola Disney, e ha un tratto ricco e iper-espressivo che lo testimonia ad ogni tavola, delicato e allo stesso tempo deciso, colmo di dettagli.

Best Movie: So che avete fatto un viaggio nel Regno Unito, nei vecchi porti della Royal Navy, per documentarvi. Com’è andato?
Stefano: «
I viaggi sono stati addirittura due! Ci piace viaggiare, e ci piace far viaggiare i nostri bimbi, quindi ne abbiamo approfittato per gironzolare tra porti, colline e vecchie librerie. Siamo stati a Portsmouth, all’Historic Dockyard, e a Chatham, altro storico Dockyard. Abbiamo passato una settimana a Plymouth, a fare foto delle varie location e a passeggiare sul molo da dove sono partiti la Mayflower, Cook, Darwin. E poi i paesini (e le miniere) della Cornovaglia, i cimiteri di campagna, i fari solitari in cima alle scogliere, le lunghe spiagge con i granchi – e i bimbi – che sguazzano nelle pozze lasciate dalla marea…  Anche l’altra ambientazione importante del libro è frutto di un viaggio: un viaggio di qualche anno fa, in Thailandia (l’antico Siam). All’isola di Pasqua, invece, non ci siamo andati, per ora almeno».


BM: Nel vostro libro c’è qualcosa di Tre ombre di Cyril Pedrosa. E c’è anche un po’ di Master and Commander di Peter Weir.
S: «
Tre Ombre e Master and Commander sono, in effetti, due delle principali fonti d’ispirazione di questo libro. Il Porto Proibito ha vagabondato parecchio prima di trovare la sua veste estetica: all’inizio lo pensavamo a colori, poi la lunghezza della storia ci ha portati al bianco e nero, ed è lì che è arrivata la folgorazione. Pedrosa è uno degli autori preferiti da entrambi, e la sua freschissima “china scarica” ha qualcosa di straordinario. Master and Commander è, invece, il film che ci ha aperto la porta su un mondo e un’epoca straordinari: un mondo affascinante, poco frequentato da cinema e fumetto, ma non dalla letteratura; il film è infatti tratto da una serie di romanzi dello scrittore anglo-irlandese Patrick O’Brian. Ecco, mentre lavoravo al libro ho iniziato a leggerli e proprio in questi giorni devo cominciare l’ultimo, incompiuto (il ventesimo)».

BM: I disegni sono tutti a matita. Coma mai questa scelta?
S:
«La matita, grigia o colorata, è una delle mie tecniche preferite, da sempre. È “fresca” e lascia grande libertà. Non richiede la precisione della china, non sporca come i carboncini né è asettica come la tavoletta grafica: mi piace sentire il rumore dello sfregamento della punta sulla carta e mi piace avere le mani sporche di grigio. Permette continui ripensamenti ed è veloce: ha permesso di realizzare più di 300 pagine in un tempo ragionevole e credo che questo renda fluida la narrazione. Lo ripeto spesso: il compito del disegnatore non è fare “bei disegni”, ma raccontare una storia».

BM: Il porto proibito ha anche una “colonna sonora” fatta di poesie e di vecchi canti marinareschi, tutti riportati nelle note a fine libro.
Teresa:
«Al liceo, la mia professoressa di letteratura inglese era una piccola suora scattante innamorata di Lord Byron. È colpa sua se mi sono appassionata tanto ai Romantici inglesi da ricordare ancora, a distanza di vent’anni e senza aver mai ripreso in mano quei libri, molti dei loro versi a memoria. Non sono un’esperta di poesie, mi piace lasciarmi guidare dalle emozioni. Tutto quello che abbiamo letto, e ascoltato e vissuto, negli oltre due anni di lavorazione del libro, è finito tra le pagine».

BM: Abel, il giovane protagonista, incarna l’innocenza che fa guardare con più chiarezza il mondo. Una lezione che si impara da genitori?
T: «
Abbiamo voluto un giovane protagonista perché avevamo bisogno del suo sguardo inedito, del suo entusiasmo, della sensazione che tutto sia ancora possibile, che il futuro sia un foglio bianco aperto all’inaspettato. Ma Abel è anche un adolescente, con le sue tempeste e gli approdi incerti, le sue fragilità e la voglia di spaccare il mondo. Certo, i bambini ci prendono per mano alla riscoperta del mondo, scardinano porte che avevamo sprangato, vedono oltre, hanno questa istintiva tenerezza verso tutte le cose del creato: sì, si impara un sacco frequentandoli notte e giorno».

BM: Alla fine di Il porto proibito sembra esserci una morale: “non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta. Non è mai troppo tardi per essere se stessi”. È così?
T:
«A essere sincera, non penso mai ai messaggi, quando scrivo: è sempre la storia ad avere la priorità. In questo caso, le due persone alle quali è dedicata sono state l’innesco. C’è voluto Stefano perché potesse prendere vita. C’è quella scena di Saving Mr.Banks in cui Walt Disney vola a Londra, a casa di Pamela Travers, per cercare di convincerla a cedergli i diritti di Mary Poppins per farne un film. Dietro il rifiuto della Travers c’è il fatto che lei, attraverso il suo romanzo, custodisce il ricordo di suo padre. E allora Disney le dice che cosa significa essere narratori: tessere storie e creare personaggi che serviranno ad altri. Non possiamo cambiare quello che è stato delle persone che non ci sono più, ma possiamo in un certo senso renderli “immortali”. Insomma, io non ho mai avuto intenzione di dare alcun messaggio: cercavo solo di “assolvere un mio compito” nei confronti di due meravigliosi ed indelebili pezzi di me che non ci sono più».

BM: Avete già in mente il vostro prossimo progetto?
T:
«Abbiamo qualche embrione di storia, cassetti colmi di idee sparse, forse una che preme più delle altre. Ma in questo momento abbiamo prima di tutto bisogno di prenderci del tempo. Faremo cose piccole, storie brevi, leggere, semplici, per un po’. Il Porto Proibito è stato un viaggio lungo ed impegnativo; adesso disfiamo con calma i bagagli, ci riguardiamo le foto e ne parliamo agli amici… prima di pensare alla prossima destinazione».

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