«Il cinema è un’operazione che si fa da bendati», racconta Fabio D’Innocenzo, intervenuto assieme al fratello Domenico alla proiezione Genovese de La Terra dell’Abbastanza, il film che ha chiuso il Cine&Comic Fest 2018 e di cui i due fratelli sono registi e sceneggiatori.
«Quando lavori su un film metti dentro il gusto personale e punti al fare il meglio, se lavori bene la critica se ne accorge. Con il pubblico è diverso; se il film funziona lo scopri solo in sala».
La proiezione del film di esordio dei due fratelli di Tor Bella Monaca, «una realtà devastata e abbandonata, ma siamo privilegiati ad essere cresciuti in periferia», arriva al pubblico con violenza. Il film è una crime story che non fa sconti e con al centro due ragazzi, Mirko e Manolo.
«Abbiamo voluto costruire un film che apparisse semplice, senza sofismi, e soprattutto sincero». Si parla di disagio, di senso di colpa ed espiazione, di rapporto tra genitori e figli, della distanza abissale che esiste tra la criminalità televisiva, alle volte mostrata come affascinante, e quella fatta di carne e sangue, ma soprattutto di amicizia: «È un film romantico», chiosano i due.
«Quando lo abbiamo pensato avremmo voluto fosse un film da trasmettere nelle scuole. La malavita non ha nulla di romantico, men che meno di epico», una narrazione che avrebbe un valore educativo enorme, soprattutto in certi contesti.
«Il film è autobiografico nella misura in cui certe dinamiche, un certo linguaggio, appartengono ad una realtà che abbiamo vissuto, poi, magari diciamo una cosa ovvia – racconta Domenico – ma la cultura, la passione per il cinema, abbiamo 29 anni ma scriviamo sceneggiature da almeno 10, ci han consentito di fare certe scelte piuttosto che altre. Il cinema probabilmente ci ha salvati».
A fine proiezione non è mancata l’interazione con il pubblico genovese. Qualcuno soddisfa qualche curiosità, qualcun altro invoca invece i sottotitoli che «avrebbero reso più comprensibili certi passaggi». «Un film è soprattutto azione e – aggiunge Domenico – l’inevitabile difficoltà nel comprendere alcuni dialoghi in strettissimo romanesco, stimola uno sforzo verso una maggiore attenzione nello spettatore, consentendo di cogliere sfumature che altrimenti avrebbero potuto perdersi».
Il passo che lo spettatore fa verso il film è parte del realismo che i due hanno ottenuto. «Nulla è stato lasciato al caso».
Una risposta che è sintesi di molte delle cose dette da registi passati per Genova in questi giorni, tutte lezioni che i due gemelli hanno fatto proprie.
«L’accoglienza del film ci ha sorpresi, anche perché hanno parlato di noi riviste internazionali che di norma si occupano solo dei maestri», ma basta guardarlo per comprenderne la portata.
Il film è costruito bene e recitato in modo esemplare, «i due ragazzi protagonisti hanno fatto una lavoro di ricerca dei linguaggi notevole», racconta Fabio.
«Un film è soprattutto degli attori, e una bella prova di recitazione di solito determina la buona resa di un film».
Mentre negli occhi del pubblico ci sono ancora le istantanee de La Terra dell’Abbastanza, i due registi, incalzati dal direttore Giorgio Viaro, annunciano il loro nuovo progetto.
«Il prossimo film sarà un western con una donna come protagonista».
Ovviamente è prematuro parlare di uscita del film, anche parlarne troppo è vietato, ma la notizia è che i due hanno già cominciato a lavorarci.
All’osservazione dalla platea che sono tanti i fratelli registi che fanno ottimi film, Fabio risponde con il sorriso «in due i tempi si dimezzano» per poi approfondire: «Lavorare in due consente un confronto continuo alla ricerca dell’equilibrio».
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