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Luigi Fedele, bravo Quanto basta

Intervista al giovane attore Luigi Fedele che, diventato famoso con Piuma, torna al cinema con la commedia Quanto basta dove interpreta un ragazzo autistico che sogna di diventare uno chef

Luigi Fedele, bravo Quanto basta

Intervista al giovane attore Luigi Fedele che, diventato famoso con Piuma, torna al cinema con la commedia Quanto basta dove interpreta un ragazzo autistico che sogna di diventare uno chef

In occasione dell’uscita in sala il 5 aprile di Quanto basta abbiamo raggiunto al telefono il protagonista Luigi Fedele per parlare del film.

Quando hai 20 anni, una simpatia dirompente, la faccia da schiaffi e gli occhi verdi che bucano lo schermo ma soprattutto la parte del giovane scanzonato-scapestrato ti viene così pazzescamente bene, il rischio che ti propongano ruoli-fotocopia è molto alto. E molto facile sarebbe sedersi, o meglio sbracarsi, su quell’unica tipologia di personaggio.

Questo non è accaduto a Luigi Fedele che, dopo il successo del suo folle e travolgente Ferro in Piuma (2016), si ripresenta ora sotto i riflettori con un ruolo agli antipodi.

L’occasione è Quanto basta e se i toni sono sempre quelli della commedia dal retrogusto amaro, qui il personaggio di Guido – questo il nome del protagonista – è davvero la cartina tornasole di Ferro. Tanto uno è estroverso, sicuro di sé, spensierato e donnaiolo, tanto l’altro è timido, impaurito, ossessivo e problematico. Ma non per questo pesante. Guido è infatti un ragazzo affetto da una forma lieve di autismo che, nella sua simpatia involontaria e nel suo essere un adolescente sognate, conserva un po’ della leggerezza di Piuma.

«Il fatto che fossero due personaggi agli antipodi è stata una delle ragioni principali che mi hanno spinto ad accettare» ci ha raccontato Luigi. «La bellezza del mestiere di attori è essere camaleontici, quindi riuscire a mettersi nei panni di un’altra persona, e il gioco diventa ancora più bello se questa persona è completamente diversa da te o da ruoli che hai già fatto».

Come sei stato coinvolto in Quanto basta?
«Nella maniera più classica, facendo dei provini. Nello specifico, ne ho fatti due: il primo da solo e il secondo con Vinicio Marchioni. Mi ricordo che sin dall’inizio ero molto gasato all’idea di far parte di questo progetto perché il personaggio di Guido era interessante e poi era un ruolo da protagonista».

Perché ti hanno scelto?
«Sicuramente l’empatia con Vinicio è stata fondamentale».

Come hai lavorato per interpretare il personaggio di un ragazzo affetto da sindrome di Asperger? Per un ruolo del genere è facile scivolare nella macchietta e nello stereotipo…
«È stato un lavoro molto lungo ma stimolante, forse la cosa più intensa e interessante che sono riuscito a portarmi a casa con questo film. In una prima fase mi sono avvicinato al personaggio dall’esterno: attraverso libri, film e documentari ho cercato di ricreare, di imitare l’aspetto di questi ragazzi, quindi le loro movenze fisiche, il loro portamento, il loro sguardo».

E poi?
«Poi ho lavorato sull’aspetto interiore ed è lì che c’è stato il vero salto di qualità: prima insieme al regista e poi da solo ho frequentato diversi centri per ragazzi Asperger, mi sono mischiato con loro, li ho conosciuti da vicino, e ho cercato di trovare in loro della caratteristiche che potessero anche le mie. Diciamo che ho provato a cercare un mio asperger, ed è stato in questo percorso che è esplosa la forza del personaggio».

Hai studiato moltissimo, insomma…
«Sì, non ho mai letto così tanto, neanche per la maturità!»

Che film e documentari hai visto per studiare l’autismo?
«Un classico come Rain Man, poi Mi chiamo Sam con Sean Penn, la serie Atipico su Netflix. E il bellissimo documentario Life, Animated».

Tu sei diventato famoso con Piuma dove interpretavi un vulcanico e incontenibile ragazzo-padre. Caratterialmente sei più vicino all’esuberanza di Ferro o alla pacatezza-timidezza di Guido in Quanto basta?
«Diciamo che sono abbastanza vicino a Ferro anche per il contesto sociale da cui viene, un certo tipo di linguaggio, una certa contaminazione con la vita da strada. Però come Guido sono una persona abbastanza timida, non sono totalmente estroverso come Ferro».

Chi sono i tuoi attori modello?
«Tra gli italiani, a livello di istintività, il mio massimo modello è Elio Germano. Mi piace anche Toni Servillo per la sua presenza scenica e per come incarna il ruolo dell’attore intellettuale nella società. Tra gli stranieri, sono un grande fan di Daniel Day-Lewis: in Il filo nascosto è fantastico».

Oltre a Guido, oltre all’autismo, l’altro grande protagonista del film è il cibo. C’è uno sguardo da un lato d’amore verso il cibo visto come momento di condivisione, creatività e confronto; dall’altro con uno sguardo ironico che prende in giro gli chef-star-televisivi. Tu come la vedi?
«Nel film c’è una critica a un certo tipo di cucina troppo spettacolarizzata tanto che la frase clou della storia è “il mondo ha più bisogno di un ottimo piatto di spaghetti al pomodoro piuttosto che di un branzino al cioccolato”. Anche secondo me c’è bisogno di tornare un po’ alla tradizione, a una cucina dai valori più semplici e puri, che però non vuol dire banale».

Tu lo guardi Masterchef?
«Ogni tanto mi è capitato, non sono un fan sfegatato, ma ad anni alterni lo guardo. Anche perché a me piace tanto cucinare, da sempre. Nelle scene dietro ai fornelli, dunque, mi sono sentito abbastanza a mio agio, anche se qualche taglio alle mani me lo sono fatto mentre giravamo…».

Ti piace cucinare?
«Sì, da sempre. In famiglia ho avuto una bella educazione da questo punto di vista. Sia mio padre cucina che mia madre amano cucinare e, già all’età di cinque anni, mi dicevano: “Luigi, adesso è ora che cominci a cucinare anche tu come si vede per l’onore della tua famiglia”. Scherzi a parte, mi sono sentito abbastanza a mio agio nelle scene dietro ai fornelli: certo qualche taglio alle dita c’è stato, soprattutto nella scena del contest in cui facevano dei dettagli stretti sulle mani e io dovevo essere velocissimo».

Hai una scena preferita del film?
«(Ci penso un attimo, ndr). Ne ho due in realtà. La prima è quella in cui Guido, per la prima volta, manifesta i suoi sentimenti di affetto nei confronti della psicologa interpretata da Valeria Solarino abbracciandola improvvisamente, anche in maniera un po’ goffa. La seconda è quando Guido decide di telefonare ad Arturo/Vinicio Marchioni per fargli l’imbocca al lupo per la sua cena».

A proposito di Vinicio Marchioni, com’è stato lavorare con lui?
«È stato un incontro speciale. Io e Vinicio ci eravamo già conosciuti sul set di Cavalli nel 2011-2012: io lì facevo la sua versione da piccolo! Mi ricordo che dovevo mettermi le lenti a contatto marroni per avere i suoi stessi occhi. Anche se non avevamo scene insieme, abbiamo avuto modo di parlare un po’ e già in quella occasione si era consolidato un bel legame: certo, io allora avevo 10 anni, quindi Vinicio mi guardava quasi come un figlio, ma era nata una sintonia. In Quanto basta è stato un compagno di viaggio davvero meraviglioso perché oltre ad essere un attore fortissimo a livello umano ho imparato tanto da lui. Sul set ho cercato di rubare il più possibile da lui».

Usando una metafora culinaria in tema con il film Quali sono gli ingredienti giusti per essere un buon attore secondo te?
«Allora… (Si prende molto tempo per rispondere, ndr) Direi umiltà; poi il gioco, il divertimento che è una componente fondamentale del recitare; e infine contaminazione intesa come una sorta di arricchimento personale che può arrivare anche da diversi contesti. Per fare questo lavoro, per me, è anche importanti sporcarsi le mani».

In questo momento stai frequentando l’Accademia Silvio d’Amico. Con cinque film alle spalle perché hai comunque sentito la necessità di fare una scuola di recitazione?
«È stata una scelta abbastanza pensata, ci ho riflettuto un po’ prima di iscrivermi. Sinceramente penso che, essendo ancora molto giovane, l’Accademia ti possa dare molto, darti una formazione a 360°. A 20 anni c’è ancora tanto da imparare e da scoprire nel mestiere di attore. Per ora è un’esperienza stimolante e divertente e che ti mette in contatto con tante altre persone che hanno la stessa passione».

Per saperne di più sul film leggi anche l’intervista al regista Francesco Falaschi.

Foto: Notorious Pictures, Getty Images

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