A due anni distanza dall’esperienza in carcere, il regista Roman Polanski torna al Festival di Zurigo per ritirare il premio alla carriera, il Golden Icon Award. Nel 2009, l’arrivo in Svizzera per la consegna dello stesso riconoscimento l’aveva portato all’arresto su richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, dove è accusato di aver stuprato una minorenne a Los Angeles nel 1977. Dopo mesi di detenzione preventiva, il regista era stato trasferito agli arresti domiciliari nel suo chalet svizzero a Gstaad fino a luglio 2010. Da allora, l’artista polacco non si muove dalla sua casa di Parigi, senza spostarsi nemmeno per partecipare al Festival del cinema di Venezia, dov’è stato presentato il suo ultimo lavoro Carnage.
«Sono felice di essere qui – ha detto l’autore alla consegna del premio – anche se questo è l’ anniversario di una sera che preferirei dimenticare: un pugno per me e per la mia famiglia. Voglio ringraziare gli amici che mi sono stati vicini e lo staff della prigione che mi ha aiutato a sopportare quei mesi terribili». Polanski è tornato nel Paese della sofferenza dopo aver ricevuto le rassicurazioni dell’Ufficio federale di giustizia (UFG). Il suo nome è stato cancellato dalla lista delle persone ricercate nella Confederazione anche se è ancora ricercato dagli Stati Uniti.
Al Zurigo Film Festival è stato proiettato in anteprima un documentario sul regista diretto da Laurent Bouzereau, Roman Polanski. A Film Memoir. La pellicola è una lunga intervista girata a Gstaad, durante gli arresti domiciliari dell’artista polacco che ripercorre la sua esistenza, dalla persecuzione nazista allo stupro degli anni ’70 e per la prima volta Polanski chiede scusa alla sua vittima, l’allora modella 13enne Samantha Geimer: «È doppiamente vittima, mia e della stampa». Nel filmato viene anche ripresa la tesi di Marina Zenovich in Roman Polanski: Wanted and Desired, secondo cui la pena inflitta al regista fosse eccessiva. Una convinzione sostenuta dallo stesso Polanski, secondo cui il procuratore intendeva comunque arrestarlo nonostante un accordo raggiunto per evitare il carcere. Secondo l’autore, tutto era in realtà una trappola tesa dalla madre della ragazzina.
«Roman è caduto e si è rialzato tante volte – ha commentato Luca Barbareschi coproduttore del documentario e amico dell’artista – questo film è una metafora e forse non a caso l’idea di realizzarlo gli è venuta proprio durante la sua permanenza coatta in Svizzera. Quando lo andai a trovare, lo vidi molto provato e demoralizzato. Preoccupato soprattutto per i figli e per la moglie Emmanuelle Seigner, che gli è stata molto vicina». (Foto: Kikapress)
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(Fonti: Dailymail, Corriere.it, Ansa, Ticino online)
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