In occasione del secondo compleanno, appena compiuto di Midnight Factory, etichetta di proprietà di Koch Media che punta a raccogliere il meglio della produzione mondiale del genere horror, abbiamo intervistato Mathias Mazzetti, art director di Vertigo Movie Advertising che ha realizzato locandine e poster per entrambe le etichette, cercando sempre di offrire un’impronta personale rispetto agli altri paesi del mondo in cui il film in oggetto viene distribuito.
Midnight Factory ha una vera e propria filosofia editoriale, sottolineata anche dalla scelta di presentare tutti i prodotti home-video in edizione da collezione e con contenuti rimasterizzati in alta definizione. E così, chi meglio di Mazzetti poteva svelarci i segreti che si celano dietro la realizzazione di un poster – sia esso pensato per la sala o per la versione H.V. – e di una campagna di lancio cinematografica? Ecco i segreti del suo lavoro che ci ha raccontato.
Quali sono le peculiarità di Midnight Factory e del lavorare per un’etichetta prettamente horror?
«Devo ammettere che, vista la mia passione per il genere, è la collana per cui più mi sono divertito a lavorare e che mi ha regalato le soddisfazioni più grandi. Amo tutti i poster e le cover home video realizzate per loro, perché le ho seguite tutte quante di persona. Come graphic designer, devo spesso manipolare il materiale di partenza, che non deve solo soddisfare il cliente, ma essere concepita per avere un ritorno commerciale ed è questa la parte più creativa del mio lavoro. Inoltre, spero che questa collana si arricchisca sempre di più con l’acquisto di cult dei grandi maestri, come per esempio è avvenuto di recente con Zombi di George A. Romero (il cui restauro è stato curato da Dario Argento, con la supervisione di Nicolas Winding Refn)».
C’è un poster realizzato per MF che ti ha regalato particolare soddisfazione?
«È stato molto divertente realizzare quello di The Green Inferno: dal momento che è stato considerato un film violento e splatter a cui nessuno avrebbe mai tolto il divieto ai minori di 18 anni, ci siamo scatenati con vagonate di sangue e violenza, anche se poi non è affatto così. Il film è in realtà adattissimo a una fascia media di pubblico, con un taglio anche ironico, ma evidentemente la campagna che gli abbiamo costruito attorno ha sortito l’effetto sperato. Dal momento che Eli Roth voleva rendere omaggio al suo padre putativo Ruggero Deodato, abbiamo creato un poster alternativo che Roth ha apprezzato tantissimo e spero si sia appeso in cameretta, facendo “come se” i poster fossero usciti all’epoca di Deodato».
Come funziona il processo creativo che sta dietro la creazione di un poster?
«Bisogna studiare nel dettaglio cosa fanno all’estero, ma poi fare i cont col gusto, l’uso dei colori, delle font e le diverse finalità commerciali. I poster dei film asiatici sono impaginati in modo capovolto rispetto al nostro. Per noi il nero è lugubre, mentre per loro il colore della morte è il bianco. È un taglio editoriale completamente diverso. Per fare incassi, bisogna toccare le corde emotive giuste degli spettatori».
Come ci si rapporta rispetto alla creatività che vi arriva già pronta?
«Come dicevo prima, bisogna essere degli abili manipolatori. Per The Neon Demon di Refn, per esempio, siamo partiti dal poster francese originale, molto elegante e patinato. Volevamo che avesse un tocco violento e così abbiamo ripreso un frame della primissima scena del film e abbiamo usato il triangolo rovesciato che torna ossessivamente nel film come simbolo di un Dio capovolto, il demone dei neon, per l’appunto… Le componenti da vagliare sono, però, sempre più di quelle che già si prendono in considerazione. In questo caso, per esempio, siamo stati accusati di aver “preso l’idea” dal simbolo di un famoso anime giapponese, di cui ovviamente ignoravamo l’esistenza. La soddisfazione, invece, è arrivata da Refn, che ha molto apprezzato il lavoro fatto».
Capita, invece, di partire da quasi da zero, senza nessun materiale che ispiri?
«Sì, molto più spesso di quanto si pensi, perché magari c’è carenza di materiali oppure le foto sul set sono scadenti; e sono i lavori che preferisco. Per fortuna che la polizia non ha accesso al mio pc. Se dovessero esaminarlo, mi prenderebbero sicuramente per un serial killer, perché tra “gli strumenti del mestiere” conservo 100 diversi schizzi di sangue, 100 tipi di coltelli diversi, 100 tenaglie e così via… Io utilizzo la stessa luna in moltissimi poster, riciclandola con angolazioni sempre diverse. Per Babadook, ad esempio, ci siamo nettamente scollati dagli input della grafica straniera, perché la casa italiana voleva proprio puntare la comunicazione sull’Uomo nero. Per quell’immagine ho recuperato un frame del trailer, ribaltato la prospettiva, creato un’ombra che non c’era, aggiunto la scala e, infine, posizionato l’Uomo nero, soddisfacendo le richieste del cliente».
Si possono considerare i poster opere artistiche?
«Spesso lo sono, ma il più delle volte non si tratta di arte, ma di uno sviluppo creativo che deve portare degli incassi. Inoltre, l’avvento del digitale ha fatto sì che non si inventi più molto, ma che si tenda a replicare quello che funziona».
Quali sono i poster non tuoi che più ti piacciono?
«Trovo bellissimo quello di Moonlight, con le tre fasi della vita in successione, ed è terribilmente evocativo il poster di Quella casa nel bosco, che con una sola immagine riassume tutto il senso del film».
E quelli che ti sei appeso in casa?
«In ufficio per un bel po’ ho avuto quello dell’Esorcista. A casa invece ne ho due: uno è Vertigo di Hitchcock, che dà il nome alla società, mentre l’altro è il poster internazionale di Solo Dio perdona, con quella sorta di diavolo la cui faccia è composta da neon».
Qui sotto una foto di Mathias Mazzetti e più sotto la gallery con i poster d’autore realizzati per i film Koch Media e Midnight Factory.
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