Venezia 73, Dakota Fanning su Brimstone con Kit Harington: «Ecco perché ho fatto un western così violento»

Tra qualche fischio è stato presentato il film del regista di origine olandese Martin Koolhoven: un’epopea di dolore raccontata dal punto di vista di una donna

Quest’anno, Venezia potrebbe essere ribattezzato “il festival dei generi”. In questi primi quattro giorni, infatti, abbiamo visto scorrere sui grandi schermi della Mostra il musical di La La Land, la fantascienza di Arrival, il mélo di La luce sugli oceani e, oggi, il western di Brimstone. Se i primi due hanno ben giocato con le regole del genere, gli ultimi sono risultati più deludenti; in particolare, il film diretto da Martin Koolhoven rasenta il ridicolo e una comicità involontaria per l’escalation interminabile di violenza e sadismo gratuito a cui arriva: a un certo punto non si contano più i morti, le impiccagioni, le frustrate, gli stupri. Un peccato, perché il film vanta un cast di alto livello che vede Dakota Fanning protagonista, Guy Pearce come villain e i volti noti del Trono di Spade Kit Harington e Carice Van Houten (la sacerdotessa rossa) in personaggi secondari.

Ma andiamo con ordine. Di cosa parla Brimstone? Dell’epopea di soprusi che è costretta a vivere una donna che cerca di fuggire da un padre violento, un fanatico reverendo. L’intenzione del regista (l’olandese Koolhoven) era costruire un western al femminile anche perché «sono pochissimi i film di questo genere con protagonista una donna, e i pochi che hanno realizzato avevano comunque un’atmosfera maschilista. Lo spunto iniziale è stato leggendo un libro in cui si parlava di una donna in fuga a cui si diceva che le rimanevano solo due scelte: o sposarsi o fare la puttana». La forza della protagonista è stato, del resto, il motivo per cui Dakota Fanning ha accettato la parte: «in un mondo in cui i film sono incentrati solo su personaggi maschile, questa storia mi ha affascinato. Mi affascinano sempre le sceneggiature che parlano di potere al femminile».

Durante la conferenza stampa, il regista ha raccontato del fascino che un genere come il western esercita su di lui e di come ha cercato di rivisitarlo, di renderlo il più originale possibile «un po’ come era stato fatto con gli spaghetti western». Tra le fonti di ispirazione, la più evidente – confermata dallo stesso Koolhoven – Il cavaliere pallido: «Eastwood, in generale, ha avuto una grande influenza per tutto il film». E se il personaggio di una donna muta in un western (quello della Fanning) richiama inevitabilmente alla memoria Eva Green in The Salvation, il regista assicura di aver preso spunto dall’opera di Kristian Levring: «Non l’ho mai visto. È buffo perché ne ho sentito parlare solo quando abbiamo distribuito i copioni agli attori: all’epoca stavano finendo di girarlo, Quando poi è uscito ho deciso però di non guardarlo: non volevo essere influenzato. Ora che però Brimstone è finito me lo guarderò: ho a casa il dvd».

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