…E ora parliamo di Kevin: la recensione di Giorgio Viaro

…e ora parliamo di Kevin è una specie di incrocio tra Elephant e The Omen, e potrebbe tranquillamente essere catalogato come un horror.  Si tratta della storia di una madre (Tilda Swinton) che deve elaborare i sensi di colpa per aver cresciuto in modo troppo permissivo un figlio che ha finito per compiere una strage a scuola. Il presente della donna, sistematicamente aggredita dai genitori delle vittime e sottoposta a ogni sorta di umiliazione, si alterna alla ricostruzione della vita del ragazzo, addirittura a partire dal suo concepimento. E proprio le caratteristiche del bambino spostano le coordinate del film dal dramma sociale all’horror. Il Kevin del titolo, infatti, non è un ragazzino che in seguito a un trauma o ad un condizionamento finisce sulla cattiva strada; ma la semplice, manifesta incarnazione del male. Che si esprime attraverso un atteggiamento antagonistico e provocatorio nei confronti della madre, perfettamente compensato da un affetto falso e ricattatorio nei confronti del padre (John C.Reilly). Kevin, pur disponendo di un’intelligenza che sfiora il genio, rifiuta di parlare, utilizzare il bagno, mangiare a tavola, e più in generale sottostare ad una qualsiasi delle regole del vivere civile. Un malessere che, quando il ragazzo diventa adolescente, si trasforma in consapevole nichilismo (“il punto è che non c’è nessun punto” dice alla madre che gli chiede ragione dei suoi gesti), e poi in una escalation di violenza.

Fosse tutto qui potremmo liquidare il film come un horror ben riuscito (la regia scompagina i piani temporali e lavora di sottrazione, non mostrando mai la violenza, o rendendola assurda, paradossale), ma c’è di più. L’unica volta in cui Kevin si dimostra remissivo e obbediente con la madre è infatti quando lei, dopo l’ennesimo sgarbo, gli rompe per sbaglio un braccio. Molti anni più tardi, durante una delle visite in prigione che seguono gli omicidi, è Kevin stesso a dirle, ricordando l’accaduto, “si fa così anche con i gatti: quando la fanno fuori dalla sabbia gli premi il naso contro le loro feci”. Ma l’episodio resta isolato. La madre, una scrittrice di libri di viaggio progressista e illuminata, giustifica sistematicamente le ribellioni del figlio, evitando anche nei casi più gravi di punirlo fisicamente. Perfino dopo la strage si ostina a voler “capire”, rifiutandosi di rifiutare la natura del figlio. Il film diventa così, in modo del tutto esplicito, un deliberato atto d’accusa ai sistemi educativi permissivi e politicamente accettabili, un atto d’accusa che per giunta si basa sulla opinabile premessa che esistano persone di malvagità connaturata e priva di ragioni.

In un senso più circoscritto, e trattandosi del film di una donna sulla storia di un’altra donna, We need to talk about Kevin è il dramma di una madre che non riesce a riempire il vuoto che avvelena il proprio figlio, raccontata con toni surreali e un’assurda, straniante colonna sonora country.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
L’idea di un film in bilico tra autorialità e puro genere

Non mi piace
Non ci sono sorprese, tutto il film si dipana come previsto

Consigliato a chi
A chi ama l’horror sofisticato e ricco di chiavi di lettura

Voto: 3/5

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