Il mio angolo di paradiso: la recensione di Silvia Urban

Marley (Kate Hudson) è una pubblicitaria di successo che ama divertirsi con amici e partner più o meno abituali e difende con fermezza la propria libertà, perché «chi l’ha detto che la felicità consiste nel trovare l’uomo giusto e costruire una famiglia?». La sua vita cambia improvvisamente quando le viene diagnosticato un tumore al colon, difficilmente curabile. Sempre quello stesso giorno incontra anche l’amore, che ha il volto di Julian (Gael García Bernal), il suo medico.
Niente di nuovo si potrebbe pensare, leggendo la trama de Il mio angolo di paradiso. Non è la prima volta che il cinema made in Hollywood racconta una storia d’amore minata dalla malattia, vedi Amore & altri rimedi (con Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway) e L’amore che resta (di Gus Van Sant con Mia Wasikowska), solo per citare gli esempi più recenti.
E in effetti l’originalità di questo film consiste nell’intento di avvicinarsi alla morte con il sorriso, affrontare la malattia con una certa irriverenza (senza addentrarsi eccessivamente in territorio terapeutico e diagnostico: del resto, non siamo nella vita vera, questo è e rimane un film), “ridere” della fragilità dell’uomo, shakerando dramma e commedia.
Il risultato è un cocktail non riuscito, dove i due registri non riescono a fondersi in modo armonico. A un inizio brillante e vivace in perfetto stile “hudsoniano” (la Hudson si conferma attrice da rom com e non convince in questa prova drammatica) segue un crollo melodrammatico, che si arricchisce di sfumature stucchevoli quando anche l’amore (non solo la malattia) inizia a farsi più intenso. Incapace di trovare un equilibrio stabile tra leggerezza e dramma, la regista Nicole Kassell calca la mano in entrambe le direzioni, tanto che i momenti comici diventano surreali e quelli di maggiore pathos emotivo sono forzosamente marcati e lacrimevoli. È così che entrano in scena una Whoopi Goldberg a metà tra dio (una sorta di alter ego femminile di Morgan Freeman in Un’impresa da Dio) e il Genio di Aladdin (risiede in Paradiso e dà a Marley la possibilità di realizzare tre desideri: due immediati, per il terzo dovrà invece imparare a guardarsi dentro), un nano che si offre come escort paradisiaco, un funerale che si trasforma in una sorta di festa di nozze tra brindisi e stelle filanti dai colori sgargianti, il sorriso a 36 denti e la dolcezza (o sdolcinatezza) di García Bernal che donano al suo personaggio un’aura fin troppo idealista, che non si sposa con il carisma della partner femminile.
A questo si aggiungono una serie di personaggi secondari dalla caratterizzazione macchiettistica: dalla madre invadente che non va d’accordo con la figlia (la interpreta Kathy Bates, ormai “abbonata” a questo ruolo) a un padre assente e impermeabile ai sentimenti, dall’amico/vicino di casa gay che le concede un ultimo ballo alle best friend, una sull’orlo di una crisi di nervi e l’altra eccessivamente solare, che a un certo punto però si lascia andare a un pianto catartico.

Soliti stilemi. Solita dramedy dalla lacrima facile.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
L’atteggiamento con cui il personaggio di Marley affronta la malattia

Non mi piace
Il mancato equilibrio tra commedia e dramma e gli eccessi (in entrambi i sensi) cui la regista si lascia andare

Consigliato a chi
Apprezza i mélo che premono sull’acceleratore della commozione

Voto
2/5

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