La buca: la recensione di Silvia Urban

Daniele Ciprì deve avere un’ossessione per i risarcimenti, già al centro del suo primo film da solista, È stato il figlio, e ora nocciolo attorno a cui ruota il suo secondo lungometraggio da regista, dopo la “separazione” da Franco Maresco.

Senza abbandonare quello stile grottesco e surreale che ha sempre contraddistinto il suo cinema, questa volta Ciprì realizza, o meglio disegna – talvolta letteralmente, inserendo animazioni grafiche –, una favola dal gusto retrò ma di fatto senza tempo e senza luogo. È tra le vie di una città immaginaria, accompagnate dal piano di Stefano Bollani, che si muovono le vite solitarie di Oscar e Armando: il primo avvocato fallito e senza scrupoli, il secondo un galeotto appena uscito di prigione, dopo aver scontato ingiustamente 30 anni di carcere per una rapina a mano armata mai commessa. A farli incontrare un cane randagio, ribattezzato Internazionale (sì, proprio come il settimanale), che finisce per diventare metafora di un’improbabile e necessaria amicizia.
Quando Oscar viene morso dall’animale, pensa subito di trarne profitto facendo causa ad Armando, salvo poi scoprire la verità sull’uomo e fiutare un’opportunità ancora più grande: perché non riaprire il processo, dimostrare l’innocenza dell’uomo e richiedere un ingente risarcimento allo Stato per l’ingiusta condanna subita dal suo “assistito”?

La buca non è solo una commedia, terreno su cui il cineasta si spinge per la prima volta, abbandonando la sua Sicilia e i siciliani; vuole essere di più: un omaggio alla commedia all’italiana, che Ciprì tenta di replicare nei toni, alternando la comicità a un diffuso senso di amarezza, effetto collaterale di una società (quella “finta” del film, certo, ma ricalcata su quella in cui viviamo) che preferisce il business ai sentimenti e la truffa alla legalità. E dove bisogna imparare ben presto l’arte di sapersi arrangiare da soli, e scendere a compromessi.
Non si ride, ma si sorride, e forse lo scopo era proprio questo.
Peccato che il riferimento al cinema di De Sica, Risi e Monicelli si esaurisca qui, perché non c’è in La buca la stessa attenzione all’intreccio – la storia è fin troppo semplice e leggera, tanto da assumere realmente i contorni di una favola – né la presenza di personaggi altrettanto forti, fatta eccezione per Oscar, l’unico che realmente subisce un’evoluzione e incuriosisce lo spettatore. Complice indubbiamente l’eccellente prova d’attore di Sergio Castellitto, completamente a suo agio nei modi e nella toga di questa versione aggiornata dell’Azzecca-garbugli manzoniano, che però finisce per cannibalizzare quella della “spalla” Rocco Papaleo, qui in versione malinconica più che comica, e forse per questo poco convincente. Tra i due si inserisce la Carmen di Valeria Bruni Tedeschi, barista affabile quanto basta a sopperire alla rassegnazione dell’ex galeotto ma troppo delicata per riuscire a contenere e contrastare l’esuberanza dell’avvocato.
Il problema è proprio questo sbilanciamento a favore del protagonista, che in sé funziona, ma non nel dialogo e nella dinamica con gli altri comprimari. Il film più volte perde l’equilibrio e inciampa nelle tante buche disseminate all’interno della sceneggiatura, non solo sulla strada in cui abita Oscar.

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Mi piace
L’atmosfera sospesa e surreale in cui la storia è ambientata; la caratterizzazione e l’evoluzione del personaggio di Oscar, complice l’eccellente prova d’attore di Sergio Castellitto.

Non mi piace
Il film ha i contorni di una favola fin troppo leggera e c’è uno squilibrio tra il peso del protagonista e quello degli altri personaggi e della storia.

Consigliato a chi
Si vuole godere una commedia leggera, dal gusto retrò e dallo stile surreale a cui Ciprì ci ha abituati.

Voto
2/5

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