Midnight Mass: la recensione della parabola horror religiosa di Mike Flanagan

Il regista di The Haunting e Doctor Sleep torna con una storia "stephenkingiana" divisa tra mitologia classica e ontologia cristiano-cattolica

midnight mass recensione
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (4.5)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (4)
Montaggio (3)
Colonna sonora (3)

Dopo The Haunting e Doctor Sleep, Mike Flanagan torna con una storia ancora fortemente legata all’immaginario horror di Stephen King ma intrisa di un interesse teologico cristiano-cattolico raramente rappresentato in maniera così analitica.

Midnight Mass inizia seguendo gli stilemi del Re del Brivido: la piccola comunità di Crockett Island, estremamente devota, viene scossa dall’arrivo del nuovo prete Paul Hill (interpretato dallo straordinario Hamish Linklater). In breve tempo, anche i più scettici degli abitanti si rendono conto di stare assistendo ad una serie di eventi inspiegabili, sovrannaturali o miracolosi a seconda di quello che la propria fede spinge a credere: la ragazza in sedia a rotelle torna a camminare, l’unica anziana dell’isola inizia a ringiovanire e tutto sembra trovare una comoda spiegazione tra i versetti della Bibbia.

I miracoli di Crockett Island iniziano però a esigere il loro prezzo di sangue e ad essere messa alla prova non è solo la fede ma anche la moralità dei singoli personaggi, sempre più evidentemente alla prese con una parabola dell’orrore. Midnight Mass diventa così un horror blando, una chiesa le cui fondamenta sono costruite su mitologia e archetipi classici del genere che vanno da Bram Stoker a Murnau, ma ammantati di una religiosità obnubilante pronta a sfociare in un violento fanatismo.

Mike Flanagan sposta continuamente l’ago della bilancia tra Nuovo e Vecchio Testamento: la missione di Padre Paul sembra guidata dai dettami cristologici di amore, resurrezione e vita eterna nella gloria divina, ma la sanguinosa brutalità che si sparge su Crockett Island (incarnata dalla perpetua Beverly Keane) diventa sempre più espressione di quel Dio violento e vendicatore proprio dei racconti biblici precedenti alla venuta di Cristo.

Questo connubio tra elementi horror classici e interesse ontologico della cristianità è espresso negli appassionati sermoni di Padre Paul e altri dialoghi meravigliosamente scritti, ma è un aspetto che costituisce allo stesso tempo la forza e il limite di Midnight Mass. La verbosità della serie diventa spesso logorroica, un’abbuffata di bellissimi monologhi che uno dietro l’altro rischiano di creare indigestione e inappetenza.

Non aiuta soprattutto il trucco, l’ostacolo più evidente e alienante di Midnight Mass: per ragioni narrative, alcuni personaggi avanti con l’età sono interpretati da attori molto più giovani, ma l’artificio è talmente evidente e posticcio che una volta forniti i riferimenti necessari per orientarsi nella storia questa diventa leggibile, anticipabile e quindi meno efficace nei suoi risvolti che dovrebbero essere più sorprendenti.

Midnight Mass è un horror molto vicino a Doctor Sleep (con qualche tocco di Robert Rodriguez nel finale), nel senso che la componente orrifica è leggera e presto abbandonata per una narrazione più aperta e meno incline a spaventare, quanto in questo caso più interessata a intonare inni patetici e romantici su fede, amore, morte e spiritualismo. Una parabola horror religiosa con qualche lacuna, ma proprio come quelle bibliche ciò che conta è il messaggio e cosa è in grado di lasciare a chi gli presta ascolto.

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