Qualche nuvola: la recensione di Emilia Iuliano

Scelte obbligate o non ponderate, chance inattese che catapultano a un bivio senza certezze. Sono queste le nuvole che l’esordiente al lungometraggio Saverio Di Biagio ci racconta con cuore attraverso l’avventura di due trentenni della periferia romana prossimi alle nozze.

In un microcosmo che non offre molte prospettive, il percorso di Diego (un promettente Michele Alhaique) e Cinzia (Greta Scarano, occhi e sorriso che bucano lo schermo) sembra già scritto. Dirimpettai nel loro condominio di borgata, crescono insieme e si innamorano. Il fidanzamento ufficiale è praticamente una formalità che viene sottoscritta da parenti e amici, con un ruolo tutt’altro che marginale nella relazione.
Un’opportunità di lavoro, però, incrina improvvisamente un meccanismo ben oliato, che sembra perpetrarsi da decenni e lega gli individui a rituali e ruoli antichi, lontanissimi dalle frontiere di un Paese occidentale del nuovo millennio (la donna destinata alla cura dei figli e della casa, l’uomo al mantenimento economico della famiglia). L’ingegnere della società edilizia per la quale Diego lavora come muratore offre al ragazzo la possibilità di ristrutturare l’appartamento di una sua conoscente. Una bellissima, ricca e brillante fotografa della “Roma bene”, che gli aprirà le porte di un mondo nuovo e affascinante, ma soprattutto quelle del suo cuore. Diego scopre così di avere un potenziale inesplorato che il suo nucleo di origine non gli ha mai permesso di conoscere. E metterà in discussione passato, futuro e valori. Un’attrazione fatale, spenta però sul nascere. Dal senso del dovere? Dalle pressanti aspettative altrui? Dal non sapersi divincolare dalla tela già tessuta per lui? Il regista/sceneggiatore ci lascia con molti interrogativi e con un protagonista incapace, infine, di crescere, evolversi, di farsi eroe come un Malavoglia dei giorni nostri.

Le questioni rimaste aperte dopo l’epilogo, d’altra parte, non scarseggiano. Tanti gli spunti interessanti e i sottotemi imbastiti e mai sviscerati appieno, atti a costruire un contesto sociale di contorno e arricchimento alla trama principale (come il tentativo dei due muratori anziani, con i quali lavora Diego, di mettersi finalmente in proprio dopo una vita di sacrifici, o ancora lo spettro della crisi economica che costringe il protagonista ad accettare il secondo lavoro – che lo metterà nei guai – per comprare il letto dei sogni dal viscido venditore interpretato da un versatile Elio Germano), che tuttavia potrebbero avere vita a sé.
Come il suo protagonista, il film non prende mai una traiettoria definitiva. Anche nel linguaggio, che rimane sempre in bilico tra dramma e farsa.
E si esce dalla sala con la sensazione che tutto sia rimasto come sospeso.

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Mi piace
La verosimiglianza di un microcosmo della periferia italiana, immortalato nella sua quotidianità

Non mi piace
La rassegnazione al destino. La mancanza di una traiettoria precisa per trama e personaggi

Consigliato a
Chi vuole addentrarsi in una Roma poco esplorata al cinema

Voto: 2/5

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