The Next Three Days: la recensione di Gabriele Ferrari

È solo al quarto film da regista – in vent’anni –, eppure a Hollwyood Paul Haggis è un’istituzione; raro esempio di superstar che non lavora davanti alla camera ma dietro, è anche maestro di sceneggiature a orologeria (Crash docet) e dotato di una visione graffiante e profonda dei rapporti umani. Il peana non è inutile, ma introduce perfettamente il suo nuovo film, il primo dai tempi di Nella valle di Elah; si chiama The Next Three Days, è il remake di un thriller francese con Diane Kruger intitolato Pour Elle e, raccontato in poche righe, narra la vicenda di John Brennan (Russell Crowe), professore universitario la cui moglie Lara (Elizabeth Banks, da tenere d’occhio perché brava oltre che bella) viene accusata di omicidio. Intrappolata in un inattaccabile castello di prove, Lara sembra condannata alla galera a vita; l’innamorato John deve dunque smettere i panni del casalingo un po’ pigro – il girovita di Russell Crowe lo aiuta a identificarsi nel ruolo – e improvvisarsi maestro d’evasioni.
«Tutto qui?» chiederete voi, e la risposta è duplice: tutto qui sì, nel senso che The Next Three Days è quello che si definisce “film di genere”, un thriller lineare nel quale sono tensione e azione a farla da padrone. Ma anche tutto qui no, perché lo scopo – nemmeno tanto velato – di Haggis è raccontare prima di tutto una storia d’amore: tra marito e moglie, ma anche tra madre e figlio (i Brennan hanno un erede, che forse soffre più di tutti la separazione dalla genitrice). Lo fa con un film a due facce: lento, realistico e intenso nella prima metà, più francamente virato verso l’action nella seconda. A reggere tutto sono i dialoghi, le interpretazioni e i rapporti tra i personaggi, materia nella quale Haggis ha pochi rivali al mondo. E poi c’è la sua estetica quasi-verista, perfetta per ridurre al minimo la distanza dallo spettatore. I vicoli malfamati di Pittsburgh, dove la vicenda si snoda, ricordano molto le strade notturne della Los Angeles di Crash (e pure quelle di Collateral di Michael Mann), e persino quando l’azione si fa frenetica Haggis non calca mai (quasi, l’abuso di camera a mano fa capolino qui e là) la mano. Il risultato sono due ore a ritmi altalenanti ma in cui l’attenzione non cala mai, l’attaccamento ai personaggi è un sentimento reale e la soluzione della tensione è un sollievo più che benvenuto. Entro i confini del film di genere, un piccolo gioiello da non farsi sfuggire.

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Mi piace
Russell Crowe
ed Elizabeth Banks: la loro è un’alchimia perfetta che coinvolge davvero. Regia e sceneggiatura: Haggis farà pure un film ogni cinque anni, ma val sempre la pena attenderlo.

Non mi piace
Haggis tende a esagerare con la camera a mano nelle scene d’azione, rendend alcuni momenti un po’ faticosi. La colonna sonora è di una banalità sconcertante: qualcuno tolga il pilota automatico a Danny Elfman.

Consigliato a chi
Ama il thriller, ma vuole anche provare empatia per i personaggi invece che godersi solo l’adrenalina.

Voto: 3/5

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