Tutti i santi giorni: la recensione di Silvia Urban

Tra i tanti pregi del cinema di Paolo Virzì c’è quello di raccontare storie talmente radicate nella realtà e sincere da risultare quasi familiari. Quello che vivono i suoi personaggi non è così distante dalla nostra vita e l’empatia che nasce, naturalmente, ne è una conferma. Tutti i santi giorni ribadisce con forza questo discorso e se da una parte sposta la realtà del racconto a un livello superiore dall’altra non rinuncia a una forte dimensione onirica. L’ispirazione nasce dalle pagine di La generazione, il libro in cui Simone Lenzi, leader della band dei Virginiana Miller, confessa le molteplici emozioni della paternità, ma nello stesso tempo il film se ne discosta, prendendosi la libertà di riscrivere il personaggio femminile e il corso della relazione che lega i due protagonisti.

Dopo il rumore (giustamente) scatenato da La prima cosa bella, il regista livornese aveva voglia di concentrarsi su una pellicola molto meno “dirompente” ma intimamente forte. Una produzione contenuta in cui si è scelto di non scomodare volti noti ma di investire su due nuovi talenti come Luca Marinelli (già protagonista de La solitudine dei numeri primi) e Thony, all’anagrafe Federica Victoria Caiozzo, cantautrice siciliana scovata da Virzì su MySpace e al suo debutto su grande schermo.
Il risultato è una fiaba moderna, molto romantica, scandita dalle note di una colonna sonora notevole ed emozionante, che il regista ha affidato al talento della stessa Thony. Perché è proprio sull’amore che il regista ha deciso di puntare il suo obiettivo. Quell’amore puro capace di unire due persone agli antipodi e di riempire le loro vite. Oltre che di imporsi come unico punto fermo in un’esistenza precaria.
Guido e Antonia non potrebbero essere più diversi. Lui portiere di notte in un hotel, estremamente colto, educato, timido. Lei impiegata di professione, cantante per passione, magari un po’ ignorante, di certo esuberante e senza peli sulla lingua. Eppure, nonostante queste distanze, sono innamorati da diversi anni e vorrebbero coronare la loro storia con un figlio, che però stenta ad arrivare. Un problema che muta in ossessione (soprattutto da parte di lei) e per il quale l’unica soluzione plausibile sembra quella di provare con la procreazione assistita. Un problema che evolve in discussione, poi silenzio, e per un attimo offusca l’amore.

In tempi in cui una Bella addormentata è capace di scatenare il dibattito cinematografico, Virzì avrebbe potuto prendere di petto il tema della fecondazione artificiale e trarne una considerazione etico-politica. O anche solo insistere sulle scene in cui Guido e Antonia sono costretti a farsi i conti in tasca a causa della crisi, aggiungendo una nuova prostettiva alla riflessione sul ceto medio, sempre più mortificato dalla povertà umana ed economica che lo circonda. Invece sceglie di giocare con la straordinarietà di questo legame e rimanere nella sfera più intima della vita dei due protagonisti, pur calandola all’interno di una realtà sociale ben contestualizzata che passa attraverso le riprese della periferia romana, la fotografia dei vicini di casa, i compromessi lavorativi. Sceglie di raccontare un sentimento che non è immune dalle difficoltà quotidiane, ma che è capace di trasformare l’esistenza e di continuare ad alimentare i sogni. A tal punto che questi spesso trovano forma e attuazione, lasciando emergere la magia, che pure fa parte della vita al pari degli ostacoli.

Si sorride, a tratti si ride di gusto, grazie alla creazione di personaggi dai tratti surreali (su tutti il “ginecologo del papa”), ma ci si commuove anche. Perché Virzì applica le regole della miglior commedia all’italiana e riesce nello straordinario tentativo di mantenere in equilibrio dramma e commedia, realtà e sogno, concedendosi solo un paio di eccessi onirici: evitabili, ma senza mai scadere nella retorica.
Anche se la vera forza del film rimangono Guido e Antonia: entrambi eccentrici, seppur in modi diversi, per nulla scontati (lui quasi anacronistico) ma al contempo adorabili. È nella semplicità dei loro gesti, nella verità dei loro dialoghi, nelle loro reazioni e attese, nei loro limiti e silenzi, nella consapevolezza del loro amore e nella loro accettazione del destino che lo spettatore si riconosce. Perché, come si diceva all’inizio, la loro vita non è poi così lontana dalla nostra.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
La semplicità e la verità della storia. La forte e coerente caratterizzazione dei due personaggi principali. La notevole colonna sonora a scandire le fasi dell’amore

Non mi piace
Gli eccessi onirici, alcuni personaggi un po’ caricaturali e la sottotrama dei vicini di casa: funzionale alla contestualizzazione della vicenda, ma non perfettamente integrata con il resto della storia

Consigliato a chi
Ama il cinema di Virzì, qui alle prese con una commedia sentimentale molto intima e sincera

Voto
4/5

 

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