Cinema ad effetto: Final Fantasy ingaggia i primi “attori digitali” (Puntata 38)

Il mondo dei videogiochi invade il grande schermo con un film ispirato all'omonima saga di giochi di ruolo giapponese, che prende in prestito la tecnica del motion capture

Oggi pubblichiamo la trentottesima puntata del nostro approfondimento sulla storia degli Effetti speciali al cinema, con cui ripercorriamo alcuni dei momenti più memorabili passati sul grande schermo.

Nel 2001 il mondo dei videogiochi decise di “trasferirsi’” sul grande schermo. L’occasione fu quella di Final Fantasy, film ispirato all’omonima saga video ludica realizzata da una delle principali case di produzioni di videogiochi giapponesi: la Squaresoft (poi fusasi con Enix nel 2003 e diventata Square Enix). Fu proprio quest’ultima a volersi cimentare con il cinema applicando a un film una tecnica nata proprio nel mondo dei videogiochi: la motion capture, che consente di catturare i movimenti del corpo attraverso dei sensori e trasferirli sullo schermo con personaggi realizzati in CGI. Una risposta trovata  dagli sviluppatori proprio per rendere il gioco più realistico possibile rispetto ai primi giochi che impiegavano personaggi a due dimensioni.

Con Final Fantasy per la prima volta un intero film fu animato con questa tecnica (era stata inaugurata al cinema da James Cameron per i passeggeri del suo Titanic) e aprì così la strada ai futuri Polar Express e Beowulf, per i quali Robert Zemeckis sviluppò un sistema ancora più evoluto della tecnica dando vita alla Performance Capture.

Senza continuità narrativa con i videogiochi omonimi creati dalla stessa Square, il film è ambientato in un ipotetico futuro in cui la Terra è infestata dai Phantoms, una forma di vita aliena che a contatto con gli esseri umani ne può annientare l’anima. A cercare di sconfiggere questi alieni è la scienziata Aki Ross (nella foto), che divenne la prima attrice digitale del cinema. Per dare vita  a questo personaggio si puntò infatti a un realismo senza precedenti e, (per dare un’idea dell’accuratezza con cui fu realizzata) i suoi 60 mila capelli furono animati separatamente uno a uno con una render farm (una sorta di grosso server) di 960 processori Pentium III-933 Mhr che richiesero un tempo di rendering stimato intorno a circa un’ora e mezza per ogni frame. Se poi si pensa che per il suo corpo fu usato un modello composto da 400.000 poligoni (quelli dei videogiochi si aggirano intorno ai 10.000) non stupisce affatto scoprire che per la lavorazione del film ci vollero ben 4 anni. Peccato però che nel mondo del cinema, come ben si sa, non vale la formula “più lavoro uguale più guadagno” e il film risultò a conti fatti un enorme flop (a fronte di un budget di 137 milioni di dollari ne incassò solo 32). L’accusa principalmente mossa al film fu, ironia della sorte, legata proprio alla mancanza di “umanità” dei personaggi che sì riproducevano in maniera sorprendete le fattezze umane ma non riuscivano a comunicare emozioni (particolare decisamente poco trascurabile in un film…).

Per accontentare i numerosi fan dei videogiochi (che sono invece un successo da  85 milioni di copie vendute) nel 2005 con la stessa tecnica fu realizzato Final Fantasy VII: Advent Children che proseguiva sul grande schermo la storia del settimo capitolo della saga video ludica.
Una curiosità: la Square Enix nel 2003 realizzò in 3D anche uno degli Animatrix (cartoni corti promozionali legati alla saga di Matrix) dal titolo Final Flight of the Osiris.

Il motion capture in Final Fantasy:

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