telegram

Ant-Man, parola d’ordine: leggerezza. La recensione del film Marvel

Abbiamo visto in anteprima il cinecomic con Paul Rudd che chiude la Fase 2 della Casa delle idee. E...

Ant-Man, parola d’ordine: leggerezza. La recensione del film Marvel

Abbiamo visto in anteprima il cinecomic con Paul Rudd che chiude la Fase 2 della Casa delle idee. E...

Tesoro, mi si è ristretto il supereroe. Marvel punta su quello che gli americani definiscono small package per chiudere la sua Fase 2 cinematografica. Dopo Guardiani della galassia,  Ant-Man è la seconda scommessa degli Studio di Kevin Feige. Dalla sua, il film di James Gunn aveva una struttura citazionista e nostalgica del cinema anni ’70 e ’80, con protagonisti forti. Peyton Reed, invece, dirige quello che forse è il film più leggero che la Casa delle idee abbia realizzato sinora, per sviluppo di tematiche e caratterizzazione dei personaggi. Marvel e Disney da sempre sono fedeli alla ricetta del cinecomic per famiglie, ma in questo caso i toni sono ancora più spensierati, a partire dalla musichetta latino-americana che fa da intro alla storia. Chiaro indizio di come l’obiettivo sia abbassare l’età media del pubblico di riferimento così da allargare ancora di più l’audience del brand.

Non è un caso che Paul Rudd sia stato scelto come protagonista: viene dagli sketch del Saturday Night Live ed è uno dei cardini della cricca di Judd Apatow, autore di punta della commedia a stelle strisce contemporanea. Il suo Scott Lang non è avventuriero e carismatico come lo Star Lord di Chris Pratt, con cui però condivide lo status di antieroe: Lang è un personaggio in cerca di riscatto, che dopo essere uscito dal carcere di San Quintino cerca di riavvicinarsi alla figlia piccola, osteggiato dall’ex moglie e dal suo nuovo compagno, un poliziotto. Le intenzioni sono buone: trovarsi un lavoro e dimenticare il passato da ladro provetto (un “topo d’appartamento” con una laurea in ingegneria). Ma quando le vecchie abitudini lo riportano in prigione, ecco intervenire Hank Pym (Michael Douglas), l’Ant-Man originale, che gli offre la possibilità di diventare il suo successore. Il motivo? La tecnologia segretissima del costume dell’Uomo Formica sta per essere riprodotta da Darren Cross (Corey Stoll), ex pupillo di Pym in cerca di rivalsa verso il mentore che l’ha allontanato. Lo scienziato ha creato una pericolosa arma di difesa, il Calabrone (The Yellow Jacket), e vuole lanciarla sul mercato bellico. Serve dunque qualcuno che torni a indossare la tuta del supereroe per distruggere il progetto di ricerca prima che venga ultimato e utilizzato per gli scopi sbagliati. E Lang, che non ha nulla da perdere, è il candidato perfetto.

Il film rappresenta il meglio e il peggio dell’universo cinematografico Marvel, esaltandosi quando la prospettiva del protagonista si trasforma: funzionano e divertono le scene in cui Rudd vede il mondo circostante assumere proporzioni gigantesche, così come l’allenamento per controllare i suoi poteri e creare un rapporto di fiducia con le formiche, il cui microcosmo sotterraneo fa anche tenerezza. Vorticose le scene di combattimento contro il villain, il Calabrone, che si affidano a repentini cambiamenti di punti di vista passando dall’universo in miniatura dei supereroi alle coordinate spaziali del mondo reale. E le risate, oltre al sense of humor di Rudd, sono affidate al trio formato da Michael Peña, il rapper T.I. e David Dastmalchian, criminali di bassa lega che formano solide spalle comiche del protagonista.

Spazio per l’emotività ci sarebbe se si approfondissero il rapporto conflittuale tra Pym e sua figlia (Evangeline Lilly) e la difficile vicenda famigliare di Lang, ma qui il dramma non è di casa. Da una parte va bene così, perché il film intrattiene, ma è opportuno che Marvel e Disney si ricordino che toni simili in Captain America: Civil War – a cui Ant-Man fa da ponte – non sono ammessi, se non altro per il rispetto verso il materiale originale, il fumetto di Mark Millar e Steve McNiven. Se Marvel riuscirà a condensare nel film anche un minimo dell’intensità drammatica di quelle pagine, allora la Fase 3 potrebbe segnare una svolta nell’approccio cinematografico di Feige e soci. Un cambio di registro che i twist da spy movie di Captain America: The Winter Soldier e gli accenni psicologici di Avengers: Age of Ultron possono aver in qualche modo anticipato. Di inganni, però, i Marvel Studio se ne intendono. Ma attenzione, perché il pubblico non è così sprovveduto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA