Secondo giorno di Cine&Comic Fest e nuovo appuntamento tra le mura di Porta Siberia.
Accanto a Giorgio Viaro, presentato da Maurizio Gregorini, cultural services manager del Comune di Genova, siede Enrico Vanzina, l’ospite d’onore della giornata.
Il regista e sceneggiatore romano, monumento del cinema Italiano, tra nostalgia e sguardi al futuro, dice di sé: «Sono un uomo con tanti anni, che porta i capelli lunghi, ma che sono bianchi. Un uomo che si appassiona, magari pronto a fare a cazzotti allo stadio, ma allo stesso tempo misurato. Mi definisce molto bene il titolo del libro di Rosanna Benzi, una donna straordinaria che assieme a Dino Risi incontrammo e raccontammo in un film per la TV nel 1988, il Vizio di Vivere. Ecco, nonostante senta di essere morto anche io con mio fratello Carlo, un anno fa, ho ancora il vizio di vivere».
Sullo schermo scorrono le immagini di una carriera lunga 40 anni, scandita da 100 film, di cui 60 pensati e realizzati con suo fratello Carlo Vanzina: «La differenza tra regista e sceneggiatore era solo una questione contrattuale, i film li facevamo assieme».
Enrico non nasconde l’emozione che i due filmati trasmessi fanno emergere.
Il primo, è un tributo alla loro vita professionale, prodotto dalla casa editrice Bietti per il lancio di una serie di iniziative editoriali, tra cui il libro Carlo & Enrico Vanzina. Artigiani del cinema popolare.
Il secondo, è invece la presentazione del documentario Il cinema è una cosa meravigliosa, dedicato a Carlo e realizzato da Antonello Sarno, che verrà distribuito a dicembre: «Un documento emozionante che contiene anche stralci del nostro quotidiano, filmati di famiglia».
Tanti i temi trattati durante la chiacchierata, affrontati con la voglia di raccontare una passione, quella per il cinema, coltivata fin da bambino.
«Mio padre, Steno, ci ha insegnato che il cinema è prima tutto un mestiere, un lavoro artigianale al servizio del pubblico. Ricordo che mentre i nostri coetanei andavano al mare in villeggiatura, lui ci portava a vedere i grandi musei del mondo, i quadri, i concerti, e la sera ci costringeva a studiare. Letteratura, musica, teatro, pittura; ci diceva che tutto serve per fare cinema e aveva ragione. Il cinema non si improvvisa».
Importanti anche i maestri: «Carlo fu aiuto regista di Monicelli in Amici Miei, ma non solo. Il suo apprendistato lo ha visto accanto a Monicelli anche in Brancaleone alle crociate e La mortadella; per non parlare di Risi, Comencini e Sordi», collaborazioni che valgono una laurea all’Università del cinema italiano.
Nel 1976, il battesimo in sala.
Carlo alla regia del primo film realizzato con il fratello: Luna di miele in tre.
«Abbiamo sempre diffidato dal ruolo di regista-attore, perché spesso la doppia veste trasforma il film in una celebrazione del proprio ego. Noi abbiamo sempre voluto, come facevano mio padre, Risi o Monicelli, dei caratteristi, artisti capaci di dare al film un passo in più. All’epoca, ad esempio, lavorammo con Renato Pozzetto».
Il numero di film è tale, che non sorprende come una parte sia diventata patrimonio culturale. Basti pensare a quanto avvenuto pochi giorni fa, quando, all’assegnazione di Milano-Cortina come sede delle Olimpiadi invernali del 2026, la memoria di tutti è andata a Guido “Dogui” Nicheli in Vacanze di Natale:
«Milano Cortina, 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing!».
«Avevamo trovato la nostra dimensione. E quando, nel 1983, arrivò Sapore di Mare, sapevamo bene cosa volevamo. Quel film raccontava il nostro paese, gli anni ‘60, ma è soprattutto un romanzo di formazione che ancora oggi ha una grande freschezza. Eravamo giovani noi e lo erano i protagonisti, tutti emergenti, e questa freschezza torna al pubblico, che si sente parte del racconto».
Qualcuno si ritrova in quella storia con la nostalgia del ricordo, il gusto un po’ amaro di cose perdute, come recita l’omonima canzone di Gino Paoli, altri invece riconoscono un presente spensierato, in riva al mare, con i propri amici.
«Quello – racconta Enrico – fu un periodo entusiasmante. Nel giro di poco più di due anni realizzammo Sapore di mare (1983), Vacanze di Natale (1983), Amarsi un po’ (1984), Vacanze in America (1984), Sotto il vestito niente (1985) e Yuppies – I giovani di successo (1986). Il merito di quel ritmo forsennato era di mio fratello: da grande regista quale era, si alzava la mattina e già sapeva cosa voleva fare, come farlo e in quali tempi. Avevamo un gruppo di attori che erano amici, cresciuti con noi. Quando hai preparazione e idee, fare cinema è facile».
L’idea di cinema di Enrico Vanzina è chiara: «È immagine e musica, e la musica può essere pure la sua assenza. Le parole, mutuate dal teatro, arrivano dopo e devono essere al servizio dell’immagine, perché è l’immagine quello che resta di un film. Sorrentino, ad esempio, è un esemplare creatore di immagini».
Quando parla del suo percorso, racconta anche di come il cinema viva di contaminazioni: «LA TV – racconta – ha cambiato il cinema. Quando ce ne accorgemmo erano gli anni ‘80, non abbiamo avuto paura di contaminarci e realizzammo I Ragazzi della terza C; un ottimo laboratorio formativo che negli anni abbiamo continuato a frequentare. Oggi questo impatto lo ha Netflix, un mondo che ho esplorato e dove tornerò, sempre con curiosità e senza preconcetti».
Nel racconto della sua vita c’è anche spazio per un piccolo rammarico: «Avevamo per le mani l’ultima sceneggiatura di Sergio Leone, quella da cui Stefano Sollima ha estratto la serie Colt, ma in quel momento il western non interessava a nessuno».
Tanta soddisfazione, invece, per quello che la loro bottega ha prodotto in termine di talenti.
«Quando Elio Germano fu premiato a Cannes, nel 2010, la prima telefonata fu per mio fratello» dice con orgoglio. Ricorda anche Monica Bellucci, bellezza casereccia in I Mitici – colpo gobbo a Milano e Gabriele Mainetti, «quello di Jeeg, che lavorò come attore ne Il cielo in una stanza».
Guardando al suo percorso, vive con un certo fastidio l’idea di essere identificato con i cosiddetti Cinepanettoni: «Una definizione che oltre ad essere pessima non ci racconta neppure. Certo, abbiamo fatto dei film natalizi, ma solo quattro. Il paradosso è che spesso ci vengono attribuiti film non nostri come Sapore di Mare 2, un anno dopo o Sotto il vestito, niente 2».
Toccante il ricordo di Paolo Villaggio, del quale riesce a riprendere le espressioni e il tono di voce, come se lo volesse presente: «Era una persona straordinaria, di grande cultura, con cui si poteva parlare di qualunque cosa: di cinema, di politica, di Sampdoria, cucina o donne. Aveva sempre un aneddoto capace di spiegare tutto. Con lui ho fatto due film: I no spik inglish e Banzai. Nel primo, del 1995, appagammo la passione comune per il calcio inserendo uno stralcio di partita che la Sampdoria giocò durante le riprese ad Highbury contro l’Arsenal. Di Banzai, ricordo che arrivò sull’onda del successo del primo. ‘Facciamolo in Giappone – ci disse Paolo – voglio mangiare sushi’. Andammo in Giappone e Paolo mangiò il sushi… ma il film – dice con franchezza – non venne bene come il primo».
«Di Paolo – racconta – mi è rimasto il suo grande amore per la sua città, di cui parlava continuamente. Genova è una città strana, che ti guarda con distacco. Quando io e Dino Risi girammo Il Vizio di Vivere con Carol Alt, una delle donne più belle del mondo, lavorammo praticamente nel disinteresse generale. Sono tornato a Genova diverse volte, e ogni volta rimango incantato dalla sua bellezza. È una città con mille prospettive, colma di immagini che andrebbero bene per qualunque tipo di film e non è detto che prima o poi non possa realizzarne uno».
Mentre Enrico Vanzina saluta, inevitabile torna alla memoria un pezzo della sua vena comica entrato nel lessico comune e che, confessa sorridendo «mi rincorre ad ogni Natale».
Ma, Toninho Cerezo, a quest’ora, cosa starà facendo?
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