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Master Gardener: Joel Edgerton giardiniere dell’Eden nella nuova discesa agli inferi di Paul Schrader. La recensione

Il grande regista e sceneggiatore americano, nell'edizione di Venezia in cui ha ricevuto il prestigioso Leone d'oro alla carriera, ha portato Fuori Concorso la sua ultima fatica, che schiera nel cast anche Sigourney Weaver e Quintessa Swindell e chiude la trilogia composta da First Reformed e The Card Counter

Master Gardener: Joel Edgerton giardiniere dell’Eden nella nuova discesa agli inferi di Paul Schrader. La recensione

Il grande regista e sceneggiatore americano, nell'edizione di Venezia in cui ha ricevuto il prestigioso Leone d'oro alla carriera, ha portato Fuori Concorso la sua ultima fatica, che schiera nel cast anche Sigourney Weaver e Quintessa Swindell e chiude la trilogia composta da First Reformed e The Card Counter

Master Gardener Schrader
PANORAMICA
Regia (3.5)
Sceneggiatura (3)
Interpretazioni (3.5)
Fotografia (3)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (2.5)

Narvel Roth (Joel Edgerton) è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. La devozione per i terreni della bella e storica dimora è pari al tentativo di compiacere la sua datrice di lavoro, la ricca vedova Mrs. Norma Haverhill (Sigourney Weaver). Quando la donna gli chiede di assumere la sua capricciosa e inquieta pronipote Maya come apprendista, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel (Quintessa Swindell).

Paul Schrader, che a Venezia 79 è stato insignito del prestigioso Leone d’oro alla carriera, è un artista che non ha mai deposto l’ascia di guerra rispetto all’idea ricorrente di raccontare e mettere in scena il suo mondo fatto di uomini dilaniati e manie perduranti, ossessioni laceranti e scissioni dure a morire. Dal 2017 a oggi, grazie alla trilogia composta da First Reformed, The Card Counter e ora Master Gardener, ha portato a un nuovo e postumo grado di maturità i perni granitici intorno cui ruota tutta la sua produzione come regista e come sceneggiatore. L’ha fatto scarnificando e riducendo ulteriormente all’osso il cuore di tenebra virile della sua arte e arricchendo i propri film di nuove aperture, stimoli, possibilità e chiavi di lettura. 

In Master Gardener si riprende dallo stesso nucleo dei due film immediatamente precedenti: al centro della storia c’è un uomo che è una maschera solitaria e impassibile, misteriosa e impalpabile nonostante la mascolinità esibita e glaciale. Fa l’orticoltore e il giardino che cura è la cornice – tematica, metaforica – che Schrader decide di mettere come un àncora di senso intorno al film. Il giardinaggio «significa credere nel futuro, che il cambiamento arriverà a tempo debito», ma il giardino, nel modo in cui ci viene proposto, è anche un luogo che può essere al contempo granitico e schematico e trovare nell’inselvatichirsi il senso – caotico, spezzato – di un nuovo ordine ristabilito, di un ideale giardino primordiale nel quale ritrovare il proprio personale Eden perduto – visto che le piante, proprio come gli uomini, assorbono tutto e magari si rigenerano, conoscendo nuove forme e nuova luce (anche se qualsiasi trasformazione con Schrader passa poi sempre dal sangue). 

Non è difficile scorgere dietro tale impalcatura la chiave di volta dell’ispirazione di Schrader e di tutti i suoi personaggi, dato che basterà davvero poco a far slittare la parabola di Narvel verso l’ennesima incursione schraderiana nel torbido rimosso di un passato macchiato “religiosamente” di colpe ataviche e tutto da redimere, acquattato sotto la superficie vitrea degli occhi e la massa dei corpi ma sempre pronto a esplodere e guizzare. Rispetto al precedente, ben più ragguardevole The Card Counter è però tutto più preordinato e prevedibile, come se il tracciato già segnato pesasse stavolta in maniera più sgraziata del solito, e anche il film decidesse di seguirlo con una freddezza grafica che sembra fare un uso strumentale di una certa dose di raggelante bruttezza (un elemento che tra l’altro investe pure le composizioni floreali, nature smorte più che morte). 

Come sempre in Schrader anche in questo caso si torna poi alle ossessioni cinefile di una vita, a Pickpocket e a Diario di un curato di campagna di Bresson, alle pagine da compilare alla luce fioca di una penombra e di una scrivania anonima, con in più il proprio corpo da usare e istoriare come un diario tonitruante, sulla cui pelle incidere maledizioni e detriti del passato, scandalosi e osceni, e ciò che resta dell’inferno di ieri. Gli slittamenti di senso ulteriore e le scene che alzano davvero la posta in gioco in Master Gardener sono ridotte al minimo, specie per gli standard di Schrader, ma c’è da registrare il finale probabilmente più ottimista e romantico in assoluto che il suo cinema si sia mai regalato e concesso, che sa tanto di congedo ultimo e testamentario da un unico, grande viaggio iniziato con la sceneggiatura di Taxi Driver e chiuso solo adesso. 

Foto: KOJO Studios

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