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Un balcone a Tunisi

Un balcone a Tunisi

C’è un momento preciso, qui a Sidi Bou Said, in cui dalla finestra della mia camera d’albergo puoi ascoltare il vento, il sole scende verso le montagne all’orizzonte e i raggi del sole decidono di dimostrare che Tunisi ti sorprende e ti convince di essere bellissima, ma solo quando ne ha voglia.

Quel momento è lì, al tramonto, e io me lo perdo quasi tutti i giorni. Lo incontro solo il giorno di riposo, quando ci riesco, e ci riesco solo quando ho appena fatto il bucato a mano e sto cercando di stenderlo tra le sedie di questo asfittico balcone. Che tecnicamente darebbe sul mare e invece dà sul ricordo, sul pensiero, sull’amarezza. Sulla rabbia. E sulle lacrime. Perché i balconi, negli hotel, sono peggio di quei soffitti bianchi di cui spesso vi ho raccontato. I balconi hanno pretese. I balconi si aprono, e aprono i respiri. Prima di toglierli. Quel momento in cui quelle tue mutande nere che hai risciacquato male ancora sanno di detersivo, l’unico che sei riuscito a trovare in un supermercato di Tunisi e in fondo speri che sia davvero un detersivo perché te lo dice l’istinto, di certo non le scritte in arabo. O forse sì, chissà.

Potrei cercarmi una lavanderia a gettoni, certo, ma questo vorrebbe dire essere in un posto abitato. Invece io sono in un albergo che ha la vista migliore di questa parte di Tunisia, dicono. E la vista, la bellezza, costa. E si paga con tutto il resto. L’albergo è lontano da tutto, in cima a una collina. Però ha i balconi. Quella cosa che ti svegli ogni giorno prima che sorga il sole e ne calpesti le mattonelle solo per pochi secondi, per ascoltare il vento e per respirare un’aria che non sentirai più per tutta la giornata, perché fuori città è diverso. Sono bastardi, i balconi, perché ti svegliano alle tre di notte all’improvviso, perché lontano si accende una luce e la spegne nel tuo cuore. I balconi su cui vorresti ripetere le innumerevoli scene del giorno dopo e invece sei sempre con la testa fuori, ad ascoltare il vento, a chiederti cosa ti convinca a restare ancora lì e non essere scappato verso il mare. Il mutuo, direte voi. Il senso del dovere. Il rispetto. La professionalità. Tutto giusto. E poi ci sono io che vi dico solo che non lo so.

Il produttore di questo film che sto facendo è un matto tunisino che parla non so quante lingue e ora amministra la società che era di suo padre e che qualche anno fa ha fatto da esecutivo a un tizio americano che era venuto qui a fare un film di fantascienza.

Credo abbia a che fare con delle guerre e delle stelle. Sì, il padre di Habib è quello che ha costruito il villaggio di Tatooine. Poi lui ha seguito le orme del padre e ha prodotto l’unico film mai candidato agli Oscar come film straniero che arriva dalla Tunisia. Di una regista donna. Il regista del mio film, Mourad, è un signore sempre sorridente che è stato attivissimo durante la primavera araba e ne ha fatto un documentario che è andato a Cannes. Beve dieci caffè al giorno e mi impone di andar con lui, a me, che se ne bevo uno non dormo per due giorni. E allora da giorni bevo cioccolate calde tunisine.

Stiamo facendo una commedia. Il cast è pieno di star tunisine, come star è Mourad, che è davvero un fuoriclasse. Uno che, per dire, se ti ferma la polizia e scende dalla macchina, poi gli chiedono scusa e lo fanno ripartire. E non è per dire, eh. Dico per dire, per dire. E poi ci sono io. Da solo. Non mi sono mai sentito solo come i primi giorni qui a Sidi Bou Said. Succede. E io ve lo scrivo ora, e voi lo leggerete quando io, da qui, sarò già ripartito. E adesso metto un punto ed esco fuori ad ascoltare il vento. E lo so che sto facendo un film importante per il popolo tunisino, la prima commedia di Habib e Mourad che però è una commedia sociale, che ha un messaggio forte, importante per tutta la comunità tunisina, necessario, e lo so che è un privilegio, e lo so che una montagna di attori vorrebbe essere al mio posto, e lo so che questo è uno di quei film che nemmeno lo sai e ti cambiano la vita. Lo so. Me lo dice il vento. Ed è proprio quella, la solitudine. Quando ascolti il vento, e non puoi raccontarlo a nessuno.

 

 

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