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#ilmiocinema a Venezia 72: la recensione di A Bigger Splash di Claudio Di Biagio

Il film di Luca Guadagnino mi si è posto in un modo che una chiacchierata con il regista ha contribuito ridimensionare

#ilmiocinema a Venezia 72: la recensione di A Bigger Splash di Claudio Di Biagio

Il film di Luca Guadagnino mi si è posto in un modo che una chiacchierata con il regista ha contribuito ridimensionare

A Bigger Splash” è un film di cui voglio parlare in modo particolare. Dati da considerare: ho parlato con il regista dopo aver visionato il film e alla fine di tutto ho riflettuto su di me e su come stia mutando il mio pensiero cinematografico.

Il film è un remake italiano (Luca Guadagnino) di un film con Alain Delon, “La Piscina”, del 1969. È la storia di una rockstar che scappa dal successo per rifugiarsi a Pantelleria dopo un incidente che non le permette più di cantare. Lì vive con il suo uomo, un ragazzo apparentemente tranquillo, con un passato da alcolista, molto più giovane di lei. Arriva ad un certo punto a trovarli il suo ex, produttore musicale dei suoi innumerevoli successi, con la figlia, una tipica ragazza sbagliata che nasconde profondità con una naturale non curanza.

Il film parte in un modo curioso, ci sono degli elementi che fanno pensare a un progressivo decollo, arriva però la prima mezz’ora e tutto diventa confuso e non si riesce minimamente a entrare in empatia con i personaggi. Ho parlato con il regista ed è stato un incontro illuminante: un uomo dalla cultura cinematografica infinita, con riferimenti alla letteratura e al cinema di ogni tempo nelle sue risposte e sono arrivato a ciò che mi serviva per formare un’idea sul film.

Il cinema è il personale urlo artistico del regista, che ci piaccia o no. Guadagnino usa la regia e gli attori esattamente come vede il suo mondo da dietro la cinepresa. Chi vede un film, chi è ad un festival del genere, può solo godere o storcere il naso ma il tratto del cineasta deve rimanere quello che è. La musica, per esempio, in questo film è uno dei personaggi più importanti: i Rolling Stones hanno concesso l’utilizzo di alcuni brani e un’ombra stanca ma folle del rock è presente durante tutta la visione; questo concetto però viene alternato a un utilizzo di una colonna sonora originale davvero invadente e dissonante rispetto alla scena. Siamo davanti a una scelta precisa. Scelta che per esempio non dà ragione al regista nella nostra terra ma che viene adorata oltreoceano.

Ho parlato con un regista che rispondendo alle domande mi ha aperto un mondo che nel film non si vede, o almeno non lo vedo io, ed è bellissimo. La storia ha una svolta “crime” ad un certo punto, ma non viene supportata da un’adeguata crescita emozionale dei personaggi che rimangono piazzati in situazioni e scene tagliate e accorpate. C’è Corrado Guzzanti a interpretare un commissario siciliano, forse l’utilizzo meno azzeccato dell’attore, c’è un cast stellare, c’è una location incredibile e non c’è il film che volevo vedere.

Non sto parlando del film e di ciò che ho trovato o meno nella pellicola, capite che ciò che leggete è un flusso non troppo ordinato di un approccio a un cinema che voglio capire a tutti i costi per non sbagliare. Il film non l’ho apprezzato, mi ricordava molto “Somewhere” di Sofia Coppola e questo non è un bene.

È curioso pensare come tutto quello che ci passa davanti agli occhi durante la visione di un film del genere in realtà sembra non appartenerci, è un’appropriazione indebita la nostra, come pubblico: il cinema diventa del pubblico quando il regista lo getta nella fossa e lo dà in pasto, quello che ne fanno i leoni poi non è più affar suo. Se la vediamo così, molte cose cambiano nella lettura della Settima Arte.

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