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Lo Hobbit addio: la recensione di La Battaglia delle Cinque Armate

Si chiude un'avventura cinematografica durata quindici anni con un capitolo ancora più dinamico dei predecessori e che estremizza il meccanismo seriale, favorendo il confronto con Il Trono di Spade

Lo Hobbit addio: la recensione di La Battaglia delle Cinque Armate

Si chiude un'avventura cinematografica durata quindici anni con un capitolo ancora più dinamico dei predecessori e che estremizza il meccanismo seriale, favorendo il confronto con Il Trono di Spade

Thorin affronta lo spettro dell’avidità disumanizzante, che stavolta invece dell’anello ha la forma di una corona. Tauriel vive fino in fondo il suo amore interrazziale con un nano. Bilbo resta l’emblema di quella piccola ma inscalfibile coerenza morale che non pretende grandi atti di eroismo ma resta la bussola migliore per orientarsi nei conflitti. Gandalf assiste e protegge mantenendo la dovuta distanza. Sono i punti d’ancoraggio emotivo del maestoso spettacolo finale, raccolto attorno a due soli avvenimenti cardine, su cui l’intero film è costruito: la calata di Smaug su Pontelagolungo e la battaglia tra orchi, elfi, nani e umani alle porte di Erebor, preceduta dalle schermaglie tra i condottieri dei diversi eserciti.

La battaglia delle cinque armate (è online il full trailer definitivo) esaspera quindi i meccanismi narrativi della serialità cinematografica, coccolando gli appassionati e rendendosi al contempo difficilmente ricevibile da chi non conosca per bene (e ami con trasporto) personaggi e premesse. Tanto che il primo metro di paragone per un’operazione di questo genere – fatte le dovute distinzioni di budget – diventano alcuni episodi del Trono di Spade, come L’assedio (quello della Battaglia delle Acque Nere) e Il coraggio di pochi (quello in cui i Bruti cercano di conquistare la Barriera), in cui il combattimento non è un elemento della narrazione ma il contesto in cui avviene. Rispetto ad essi, la visione del regista neozelandese è tuttavia un pochino invecchiata, sia perché ancorata a un materiale di partenza che scambia il piacere della suspense (quello richiesto dallo spettatore “neutro”) con la gratificazione delle aspettative (quella desiderata dal “fan”), sia perché il Messaggio pesa più dei personaggi, esattamente il contrario di quanto accade nei lavori ispirati ai libri di George R. Martin, in cui – almeno nelle figure più interessanti – l’etica segue (non precede) le passioni umane ed è spesso sacrificata ad esse. Quando poi si scatena la battaglia, la necessità di manovrare un numero infinito di comparse divise tra nani, elfi e orchi suggerisce di vestire tutti con armature integrali (diverse solo per colore e altezza) che semplificano di molto il lavoro di animazione digitale ma rendono anche il colpo d’occhio in certi casi monotono.

Quello che invece viene ancora una volta benissimo a Jackson sono i faccia a faccia. E se pure in La battaglia delle cinque armate non si arriva ai livelli sublimi del confronto tra Bilbo e Smaug nella montagna, lo scontro finale tra Thorin e Azog, così come quello tra Legolas e l’orco sul ponte in bilico sul burrone, sono originali e appassionanti. In conclusione, una chiusura un po’ faticosa per una delle avventure più importanti della storia del cinema, ma che soddisferà comunque i tolkeniani innamorati, facendogli versare le dovute lacrime.

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