Ha ragione Mereghetti: la commedia all’italiana ormai costa troppo e non incassa abbastanza

Il direttore di Best Movie Giorgio Viaro riflette su un genere che fino a ieri era campione d'incassi, ma che oggi fa fatica a rientrare sui costi di produzione

Gassman e Giallini in una scena di Beata ignoranza

A fronte degli incassi sempre più scarsi ottenuti dai film italiani negli ultimi mesi di programmazione, il nostro direttore, Giorgio Viaro, riflette sul suo blog sulla situazione attuale e sulle motivazioni che spingono i protagonisti dell’industria a continuare a investire su un genere sempre meno redditizio.

Uno dei punti più criticati del recente articolo di Paolo Mereghetti (lo trovate qui) che ha riportato l’attenzione sullo stato della commedia all’italiana, è stata la sua affermazione che anche il pubblico tenda ormai a disertare le sale dove vengono proiettati questi film, ovvero che siano raramente redditizi.

Non è vero, hanno obiettato alcuni commentatori, il cinema comico italiano potrà non piacere ma continua ad essere il modo più promettente per rientrare dei propri investimenti.

La presa di posizione si basa su un dogma generalmente preso per buono senza troppe discussioni: la risata è l’effetto speciale più economico che esista, non costa niente e rende molto. Proviamo a mettere in discussione il paradigma, esaminando il costo industriale di alcuni film citati come esempi virtuosi di commedie redditizie. I dati sono disponibili sul sito del Ministero dei beni Culturali, all’interno delle delibere sui finanziamenti ai film ritenuti di interesse culturale.

Beata ignoranza, il film di Massimiliano Bruno, ad oggi è arrivato a un incasso di 3.700.000 euro. Difficilmente a questo punto supererà i 4 milioni. Un buon risultato? Anche senza addentrarsi nell’analisi del numero di sale in cui è stato distribuito e relativa media/sala, basti sapere il costo industriale del film: 7 milioni e mezzo di euro. Avete capito bene, sette milioni e mezzo. E considerate che circa la metà degli incassi, ovvero dei citati 4 milioni scarsi, resta agli esercenti, cioè i proprietari delle sale che lo proiettano.

Un altro caso? Mamma o papà, il film di Riccardo Milani con Paola Cortellesi e Antonio Albanese, remake di un’opera francese. Incasso: 4 milioni e mezzo. Costo industriale: 7 milioni e seicentomila.

E via così: il progetto Smetto quando voglio 2 e 3 è costato complessivamente 12 milioni; Che vuoi che sia di Edoardo Leo 6 milioni e mezzo; La cena di Natale 6 milioni.
Alla luce di questi numeri sembrerebbe che le uniche commedie nostrane vagamente remunerative degli ultimi mesi siano stati Mister Felicità di Alessandro Siani e L’ora legale di Ficarra e Picone, capaci entrambi di superare i 10 milioni di incasso. E tornando maggiormente indietro nel tempo la situazione non migliorerebbe granché.

Com’è possibile allora che i produttori continuino a investire con tanta assiduità in una tipologia di prodotto artisticamente scadente e soprattutto economicamente deficitaria, perché quasi impossibile da vendere all’estero?

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