telegram

The Lego Movie, gettate le istruzioni e usate la fantasia. La recensione

Emmet contro Lord Business: tante gag riuscite, animazione di qualità, ma anche una delle più gigantesche operazioni di marketing mai pensate

The Lego Movie, gettate le istruzioni e usate la fantasia. La recensione

Emmet contro Lord Business: tante gag riuscite, animazione di qualità, ma anche una delle più gigantesche operazioni di marketing mai pensate

Quando si dice che il cinema di Hollywood è diventato un sistema di brand, prima che di star, si intende proprio questo: se fai un film con Johnny Depp rischi un flop micidiale; se fai un film con i Lego il botto è sicuro. E quando dico “sicuro” intendo proprio sicuro: negli Stati Uniti le stime degli incassi per il primo weekend, fatte in anticipo dalle riviste di settore, sono state rispettate quasi al centesimo (70 milioni).
The Lego Movie è animazione sui generis, una via di mezzo tra la stop-motion e il digitale puro. Ci sono pupazzetti ripresi a passo uno, costruzioni metamorfiche, e panorami di sola CGI (il Nulla). C’è anche altro, dimensioni parallele che definiscono alla fine il senso del film, ma specificarlo significherebbe spoilerare. Detta così sembra quasi che si sconfini nei territori della metafisica – e in effetti è vero – ma parlare di metafisica nel caso di un film per bambini potrebbe sembrare eccessivo, quindi finiamola qui.
Diciamo invece che la storia è quella Emmett, omino-costruttore, investito di responsabilità da una misteriosa Profezia: sarà lui a salvare il mondo-Lego dalle mire del presidentissimo Lord Business che vuole incollare (letteralmente) ogni cosa, pezzo a pezzo, in modo che tutto resti fermo, uguale a se stesso e sotto controllo. In modo cioè che i pezzi non possano più essere ricombinati a piacere, secondo un caos creativo fertile e liberatorio.

In questo elogio della fantasia come strumento rivoluzionario (che va benissimo e potrebbe ricordare addirittura NO, il film con Gael Garcia Bernal), stride un pochino il fatto che il film urli tutto il tempo COMPRAMI! in faccia a bimbi e mamme sedute in platea, anche perché qui i riferimenti al merchandise sono precisissimi. I mondi in cui si divide la storia e il racconto sono le diverse linee della Lego (il vecchio west, il medioevo alla Trono di Spade, la Metropoli, ecc); i personaggi chiamati in causa sono quelli già Lego-commercializzati (Simpson, Harry Potter, supereroi DC, ecc) e mentre si vendono scatoloni in tema con il film e i suoi scenari, si lancia il messaggio che la cosa più bella è lasciar perdere le istruzioni e combinare i pezzi a piacere (sono pur sempre in commercio anche sfusi).
Al di là di seconde e terze letture, comunque, lo spettacolo è generoso, magari un po’ lungo, e le battute scritte per funzionare alternativamente e bene su tutte le generazioni che andranno in sala: genitori, figli grandi e figli piccoli. La scelta più azzeccata in assoluto è quella di puntare sugli injokes, cioè sulle gag che colpiscono solo se lo spettatore conosce il modo in cui si gioca con i Lego: non è un mondo “animato in stile Lego”, è proprio il mondo Lego, con le sue regole. Ogni cosa può trasformarsi in un’altra, i palazzi delle città vengono costruiti dalle imprese seguendo enormi foglietti con le istruzioni e – per dire – i capelli dei personaggi sono solo una cupoletta colorata agganciata a pressione (a un certo punto Emmett si attacca un cerchione in testa e si sostituisce a una ruota del veicolo che sta pilotando). E questa distinzione diventa fondamentale nell’ultima parte, dopo il mega twist che precede l’epilogo.
Non una cosa prodigiosa, ma se conoscete qualcuno che non si sia mai divertito con le costruzioni e che non si divertirà almeno un po’ col film, presentatemelo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA