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I guardiani del destino: la recensione di Luca Ferrari

I guardiani del destino: la recensione di Luca Ferrari

Tutto è già stato deciso o c’è ancora tempo per cambiare? Sarebbe meglio dire, o ci sono ancora uomini e donne per cambiare? La sceneggiatura del film “I guardiani del destino” (The Adjustment Bureau, 2011) s’interroga al riguardo. Dalla Creazione dell’uomo, un misterioso gruppo di osservatori/angeli (ha davvero importanza la loro natura?) controlla che un presunto Piano segua il suo percorso. Non sono concesse dilazioni, pena una sorta di lobotomia per chiunque voglia vedere oltre il consentito. Solo un fantomatico Presidente ha il potere di cambiare le carte in corsa. La vita di David Norris (Matt Damon) sta seguendo la propria linea fino a quando un incontro (non casuale) con la ballerina Elise (Emily Blunt) rimette tutto in discussione. E anche ai Piani Alti se ne accorgono, e dovranno fare i conti con l’inaspettato. E a dispetto della loro vigilanza, dovranno constatare che due rette parallele si stanno (ri)avvicinando sempre di più. Inizia il viaggio, e in ballo non c’è solo l’amore. Non c’è solo la carriera. Il regista George Nolfi ci fa riflettere sula possibilità che il mondo sia una realtà incapace di pedalare senza rotelle, dove tutti hanno i propri Presidenti a cui chinano la testa. E allo stesso tempo, dove tutti hanno una prova da superare. Per cambiare. Per ispirare. Per se stessi. David Norris commuove per la sua grintosa semplicità di sentimento, e in qualche sua sfumatura fa rivivere il Jack Campbell (Nicolas Cage) di “The Family Man” (2000). Abbandonata la puzza sotto il naso e la “diabolica” ossessione per la moda rigorosamente firmata Prada, in questa nuova pellicola Emily Blunt è un imprevedibile inno alla vita. Capace di salutare il futuro senatore di New York con il dito medio fuori dall’autobus, e poi farsi travolgere dall’amore ritrovato senza paura di mostrare le proprie lacrime. Ma di fronte a due innamorati c’è un Sistema che intima loro di fermarsi. E come in tutte le dittature che si rispettino, la maggior parte del mondo lo accetta. In pochi, lottano. Quale che sia l’opinione che ciascuno ha del proprio destino, nessuna risposta deve essere condizionata da una forza superiore. L’ultima parola deve sempre spettare al libero arbitrio. Perché a un certo punto della nostra esistenza, ed è questo che davvero conta, dovremo essere noi a scrivere la nostra storia. Dall’inizio alla fine. Anche se di corsa. Anche se con una tazza di caffè seduti sulle scale, o in cima a un grattacielo. Parlando con qualcuno di cui non sappiamo nemmeno le generalità. E se sta già accadendo, allora ci siamo sicuramente già incontrati. E ci rivedremo presto.

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