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Il caso Spotlight: la recensione di loland10

Il caso Spotlight: la recensione di loland10

“Il caso Spotlight” (Spotlight, 2015) è il quinto lungometraggio del regista del New Jersey di Tom McCarthy.
L’inchiesta e il cinema, il giornalismo americano e la verità da portare a galla, le vicende nascoste e l’ostinazione ad ogni costo. Siamo di fronte ad una pellicola che gioca (benissimo) su un argomento scottante e di cui fino al momento dell’indagine giornalistica tutto era rimasto nascosto e nel sottobosco impolverato di qualche (brevissimo) articoletto di cronaca spicciola.

Scontro e incontro con un vescovo e l’autorità ecclesiastica di Boston, il nuovo direttore ‘Martin Baron’ (dal luglio 2001) del giornale ‘The Boston Globe’ si insedia e vuole capirci chiaro. Non lascia nulla al caso e dà il la al ‘gruppo’ dei quattro chiamati Spotlight (questo il titolo vero del film), tre uomini e una donna che non demordono e si danno da fare per scoprire ciò che le voci dicono: gli abusi sessuali sui minorenni di quasi 90 preti. L’archivio ecclesiale permette una precisa collocazione di nomi, luoghi e famiglie. Tutto tace per paura con avvocati che ‘guadagnano’ sullo sfruttamento e su notizie da coprire.

Politica e giornalismo, chiesa e verità: in una corsa a ostacoli dove i documenti visibili a tutti diventano oscuri e mai pronti all’occhio che indaga e più di qualcuno che sbatte la porta, si riescono ad aprire spiragli con racconti di adulti che subito abusi. ‘Per carità non faccia il mio nome’, ‘Neanche mia moglie sa’… ma alla fine dell’intervista qualcuno dice ‘scriva pure il mio nome sull’articolo’.
Ostracismo che diventa un buco dei giochi di potere. Ostracismo da un insabbiamento e da situazioni pericolose tenute lontane. ‘Pubblichiamo’ è il verbo che ripete spesso Michael Rezendes (Mark Ruffalo) con una foga che gli altri tre trattengono (nonostante tutto quello che sanno), mentre Walter Robby (Michael Keaton che dopo ‘Birdman’ sembra gustare una vera ‘prima’ carriera) cerca spiragli alti (come dice il direttore) per smascherare il sistema di perversione dentro la chiesa di Boston. Ci vuole forza e faranno forza altrettanto: il giorno dopo verranno contro di noi e il loro (Chiesa) potere è forte. ‘Dovessimo arrivare al vescovo, ai vescovi e persino al Papa’ domani pubblichiamo. La determinazione di Michael coinvolge tutto e tutti sono compatti.
Tremante e lacerante inchiesta tra voci soffuse, ricordi vivi e amici che disegnano il triste panorama mentre il liceo che si frequentava vorrebbe mettere a tacere notizie che circolavano. Walter, Mike, Sacha (Rachel McAdamas) e Matt (Brian d’Arcy James) non lasciano mai la partita da dare ai loro lettori e la(e) notizia(e) bruciante(i) aspettano ma sono da dare in pasto a tutti. Le reazioni possono attendere. Anzi non attendono: una chiamata dopo l’altro rompono il vaso di Pandora e ‘molti’ vogliono dare notizie ‘private’ da rendere pubbliche.

Ingombrante oltre ogni misura ma il film (documento) evita facili trabocchetti per segnare un modo di indagare che si era perso nel cinema a stelle e strisce; tornare indietro alla ‘New Hollywood’ e al caso Watergate (‘Tutti gli uomini del Presidente’ 1976 di A.J. Pakula) per contrastare il potere (in ogni forma) evidenziando difetti e eccessi da condannare con la forza della verità e della notizia.
Girandola di voci e di storie da verificare fino a titoli di coda pieni d’angoscia con nomi che scorrono e oscuro schermo che sottolinea. Le location interne e le carrellate tra scrivanie, plichi di carte, vecchi pc e archivi in sotterranea fanno rabbrividire il ‘ricordo’ di un cinema da ‘far continuare’.
Ho qualcosa da dire sembra proprio dire il ‘The Boston Globe’ e la città non nasconde a se stessa ciò che è sotto per diventare garanzia di verità da sapere e pulizia morale senza ombra di dubbio. Il giornalismo locale premia il coraggio e arriva ai giusti confini per scoperchiare il problema oltre le parrocchie frequentate dai bambini.

Tom McCarthy premia la sceneggiatura condividendola con una prova di attori veramente convincente (e in parte). Mark Ruffalo sopra tutti con un Stanley Tucci che si regala una performance sincera. Chi sa a quando un film-indagine che regge la notizia e (quasi) anticipa lo sfaldamento di una bruttura dove non si vuole: che sia americana o europea o di altri ancora. Denunciare con forza è sempre difficile nelle maschere moderne (e antiche) delle notizie in ogni campo.
Voto: 7½/10.

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