Il nome del figlio: la recensione di Valentina Torlaschi

Più che un remake, un raffinato calco. Se il primo termine richiama spesso e ineluttabilmente una mera logica commerciale e aridità d’idee, il secondo presuppone invece una sottile arguzia. Un’operazione che – da vocabolario – implica “una competenza linguistica in chi la effettua, che deve essere in grado di cogliere, oltre al significato, la forma interna straniera del modello, e di individuare nella propria lingua un modo per riprodurla adeguatamente”.  È questo il caso de Il nome del figlio: perfetto calco della commedia francese Cena tra amici a sua volta tratta dalla pièce teatrale Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte. Basandosi sullo scheletro narrativo originale (i colpi di scena sono gli stessi), la regista Francesca Archibugi con l’aiuto di Francesco Piccolo (sceneggiatore de Il capitale umano e Habemus Papam) è riuscita a catturare le atmosfere acide di quel tranquillo ritrovo tra amici che si trasforma in una resa dei conti a porte chiuse coi commensali che si vomitano addosso accuse, gelosie, segreti inconfessati (una situazione ormai topica che il cinema recente ha declinato con toni diversi, dal dramma di Carnage al thriller sci-fi di Coherence). Ma soprattutto, è riuscita a calare tematiche e personaggi nella società italiana arrivando a una traduzione finale allo stesso tempo “così vicina, così lontana”.

Partendo da una domanda privata (il nome da dare a un figlio), le quattro mura di casa diventano la cassa di risonanza delle frizioni tra imprenditori con Rolex, SUV e vinili da 930 euro e intellettuali di sinistra che compensano la loro frustrazione tra librerie debordanti e un uso compulsivo di Twitter. Con la delicatezza tipica della Archibugi, sono proprio questi ultimi il bersaglio principale: radical-chic fuori dal mondo ma che s’illudono di parlare a esso solo perché sanno inventarsi un hashtag. Privilegiati, la cui tolleranza è professata unicamente a suon di citazioni; snob inchiodati nelle loro prospettive culturali, assai diversi dai loro padri e dalle loro madri che con disinvoltura passano da Simone de Beauvoir al best-seller della nuora Simona. La nostalgia del passato, del resto, permea tutta la pellicola, così come l’inadeguatezza verso quei padri importanti e ingombranti (acquisiti o reali) grazie a cui si è arrivati alla carica universitaria o per colpa dei quali ci si sente in difetto nella propria, banale, professione di agente immobiliare.

Oltre alla sottile scrittura, anche da un punto di vista stilistico quello dell’Archibugi è un adattamento fedele ma non pedissequo. L’intento è rendere meno teatrale l’impostazione con espedienti puramente cinematografici: alcuni po’ scontati (vedi i ridondanti flashback sull’infanzia), altri più interessanti come le immagini in soggettiva riprese da un aeroplanino giocattolo che vola per la stanza. Un cambio di prospettiva che invita i personaggi e gli spettatori a guardare la situazione dall’esterno, a prenderne una certa distanza per ridimensionare il proprio ego e il dramma contingente. Per farsi più oggettivi e volare più alti dei pregiudizi, più liberi, e non è un caso che a manovrare quell’aggeggio siano proprio dei bambini.

Un esperimento riuscito, infine, anche grazie al cast. Se nella versione francese gli attori erano gli stessi dello spettacolo teatrale e avevano recitato la parte centinaia di volte creando una sinfonia perfetta di gesti e battute, anche la versione italiana trae forza e veridicità dalla squadra attoriale, i perfettamente in parte Luigi Lo Cascio, Valeria Golino, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassman, uno che di padri ingombranti e importanti ne sa qualcosa.

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Mi piace: La raffinata riscrittura dell’originale, fedele nel ricreare le atmosfere e sagace nel riadattare le tematiche al contesto italiano. Ottimo cast.

Non mi piace: L’uso dei fashback: escamotage ridondante per rendere visibile un passato che bastava rievocare a parole.

Consigliato a chi: Sia a chi ha amato il film originale, sia a chi ha voglia di scoprire una pellicola basata su dialoghi ben scritti e interpretazioni convincenti.

 VOTO: 3/5

 

 

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