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Inside Out: la recensione di Giorgio Viaro

Inside Out: la recensione di Giorgio Viaro

Inside Out riporta la Pixar ai livelli di Monster & Co., film con cui condivide il focus sull’infanzia e l’idea narrativa di mettere in scena concetti astratti (in quel caso la paura, qui tutte le emozioni), personificandoli.

Il film comincia nella “sala di controllo emotivo” di una bambina cresciuta in campagna e poi trasferitasi con i genitori in città, in una brutta villetta dei sobborghi. Al pannello di comando si alternano Gioia, Tristezza, Disgusto, Paura e Rabbia, tutti rappresentati come buffe creature colorate (con il solito occhio puntato sul merchandise), quasi fossero una squadra di supereroi: Rabbia sputa fuoco dalla testa, Gioia illumina le cose, Tristezza le raffredda.

La prima parte del film, quella in cui si mostrano le emozioni al lavoro, fa subito capire che l’idea è azzeccata e ben realizzata. Dare un volto agli stati d’animo, vedere come interagiscono e come sono legati ai ricordi (che nel film hanno un ruolo decisivo), spinge lo spettatore di qualunque età a riflettere sulle proprie dinamiche emotive, a osservarsi dall’esterno/interno, con l’incredibile conseguenza che la storia funziona tra le altre cose come una seduta di psicanalisi – appassionante, divertente o commovente a seconda dei momenti.

Nella seconda parte la costruzione grafica della psiche, di cui la citata sala di controllo è una frazione, è un pozzo senza fondo di intuizioni: la maggior parte del racconto si svolge infatti in questo mondo di fantasia che estende di molto il lavoro fatto con Monster & co. (qui la fabbrica dei sogni, una specie di studio hollywoodiano, è solo una parte del totale), e in cui troviamo di tutto, dalla memoria a lungo termine (un’infinita scaffaliera fatta di sfere che sono momenti di vita vissuta) al subconscio (un antro enorme e spaventoso), dai ricordi indelebili (barocche isole emotive sospese nel vuoto) al treno dei pensieri, che non sai mai quando passa. E ognuno di questi settori ha un manipolo di creaturine operaie che lo mantengono funzionante, e che garantiscono al cartoon la sua “quota Minions”.

All’interno di questo scenario, il viaggio del film è quello di Gioia e Tristezza, impegnate a trovare un modo per tornare nella sala di controllo, ma soprattutto a capire come “lavorare assieme” alla felicità della bambina. In loro assenza, tutte le altre emozioni sono allo sbando, e si affaccia lo spettro dell’apatia e della depressione. C’è quindi da un lato questa incredibile metafora visiva del crescere e soprattutto del “sentire”, e dall’altro la sua messa in scena realista, con gli stacchi sulle scelte che la piccola protagonista via via compie, perdendosi o ritrovandosi, provando a tener fede alla sua natura, o a formarla.

Quanto tutto questo suoni “vero”, è la magia del film; e in questa verità germoglia un commozione straordinaria, tanto che in sala (a Cannes) a un certo punto era tutto uno sventolare di fazzoletti e un coro di tirate su col naso. Dice questo, Inside Out: custodite il fuoco dentro di voi, non alzate bandiera bianca; fate in modo che ogni momento e ogni luogo del vostro essere – quando avete paura, quando vi fa schifo qualcosa, quando vi manca da impazzire qualcuno e quando state facendo esattamente quello che amate – lo tenga acceso.
E lo dice con molta meno retorica di quella che ho appena usato io.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace:
L’intelligenza con cui il film affronta temi che hanno toccato e toccano ognuno di noi.

Non mi piace:
Il look ultramoderno dei personaggi Pixar potrebbe non piacere a tutti.

Consigliato a chi:
Crede che i film d’animazione siano ancora roba per i più piccoli. 

Voto: 5/5

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