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Guardiani della Galassia Vol. 3: l’ultimo ballo di James Gunn è una questione personale. La recensione

Il regista torna per l'ultima volta alla guida della banda di eroi più sgangherata dell'universo

Guardiani della Galassia Vol. 3: l’ultimo ballo di James Gunn è una questione personale. La recensione

Il regista torna per l'ultima volta alla guida della banda di eroi più sgangherata dell'universo

guardiani della galassia vol 3 recensione
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Quando nel 2010, agli albori del Marvel Cinematic Universe, Kevin Feige menzionò la possibilità di adattare sul grande schermo la avventure cartacee dei Guardiani della Galassia, persino dai banchi dei fan si alzarono dei sonori “Ma chi sono questi?!“. Tredici anni dopo, non solo i nomi di Peter Quill aka Star-Lord, Drax, Rocket, Groot e Gamora sono famosi al pari di Iron Man, Captain America e Spider-Man, ma la loro trilogia è e rimarrà uno dei capisaldi dell’intero MCU.

L’artefice di questo piccolo miracolo è James Gunn, il regista venuto dall’esperienza formativa alla Troma (Tromeo & Juliet) e dalle sceneggiature di Scooby-Doo, L’alba dei morti viventi e dal cinecomic Super. Un signor nessuno alla guida di altri nessuno, almeno per il grande pubblico, ma che, come in ogni perfetta favola di underdog, è stato in grado di rivoluzionare culturalmente l’ambiente in cui è nato e cresciuto. Nel 2014, anno di uscita del primo film, l’MCU rischiava seriamente di crollare sotto il peso della sua stessa pomposa serietà, alla Thor: The Dark World, ma la sprezzante ironia, il giusto mix di azione e divertimento e l’alchimia senza precedenti del primo Guardiani della Galassia ha fatto da spartiacque e cambiato la faccia dell’intera operazione.

La “formula Gunn” è diventato di fatto la più seguita nell’ambiente, consolidata (ed esagerata per certi versi) da Taika Waititi nel suo successivo Thor: Ragnarok e limata dai fratelli Russo nel dittico Avengers: Infinity War e Endgame. Non prendersi sul serio è diventata la parola d’ordine, la cifra stilistica che ha traghettato la Fase 2 e 3 dell’MCU, elemento parzialmente perso nel corso degli ultimi film. Una formula così vincente da aver convinto persino la concorrenza, la DC Comics, a rivoluzionare tutti i propri piani e affidare proprio a Gunn le chiavi della “baracca” abitata da Batman, Superman e compagnia – già a partire da The Suicide Squad e la serie Peacemaker

Prima di andarsene, però, c’era bisogno di salutarsi. Guardiani della Galassia Vol. 3, in arrivo nelle sale il 3 maggio 2023, ha il sapore dell’addio per entrambi: è un toccante commiato che non rinuncia alla solita dosata ironia, ma che spinge più forte che mai sul pedale dell’emozione. Al centro di tutto c’è Rocket (Bradley Cooper in originale), il personaggio con il quale Gunn stesso ha dichiarato di identificarsi di più, tanto da aver sentito il bisogno di raccontare la sua storia perché è sempre stato centrale per lui. Mentre Peter Quill (Chris Pratt) è alle prese con il complesso lutto per la morte di Gamora (Zoe Saldana) e la contemporanea presenza della sua versione alternativa proveniente da un altro universo, Rocket è ancora il sarcastico e geniale ingegnere tormentato dalle ombre del suo passato – che torna letteralmente a buttare giù la porta.

L’Alto Evoluzionario (Chukwudi Iwuji), scienziato ossessionato dal concetto di perfezione eugenetica, ha saputo che il suo esperimento è ancora vivo e vegeto nella galassia e lo reclama. I Sovereign visti in Guardiani della Galassia Vol. 2 inviano l’acerbo Adam Warlock (Will Poulter) a recuperarlo, ma Rocket viene ferito quasi mortalmente. Da quel momento inizia la nuova avventura dei Guardiani, intenzionati a tutto pur di salvare il loro amico. «Il primo film è su una madre, il secondo su un padre, e il terzo su se stesso – ha sintetizzato James Gunn –  Questa è la storia al centro di tutto. Non si tratta di salvare il mondo, ma di salvare sé stessi».

Questa intimità è assolutamente dominante nel nuovo film: è straziante nei flashback che raccontano al vita di Rocket, compassionevole nella romantica nostalgia di Peter verso Gamora, tragicomica persino nelle difficoltà di personaggi solo sulla carta secondari come Drax (Dave Bautista), e la strana ma riuscita coppia Kraglin (Sean Gunn) e Cosmo (Maria Bakalova). La maggior qualità di Gunn è il totale controllo della materia, che gli permette di imbastire una storia solida, senza sbrodolamenti ma nella quale tutti – ma proprio tutti – riescono a trovare il giusto spazio per chiudere i conti col passato e lanciarsi verso un futuro non più nelle mani del suo creatore.

Quasi incredibilmente, questa volta, la bilancia tra protagonisti e antagonisti non è neppure in equilibrio: i buoni sono buoni, il cattivo è decisamente cattivo. L’Alto Evoluzionario è il miglior villain Marvel dai tempi di Thanos, perché non è frutto di quei compromessi che sembrano ormai imperativi nel nuovo corso Disney. Sono tanti, forse troppi, i cattivi (sia Marvel che dei remake dei Classici, come il Capitan Uncino di Jude Law in Peter Pan & Wendy) ai quali sono state date tutte le motivazioni e le giustificazioni necessarie per renderli meno malvagi, più umani e alla portata empatica del pubblico. Non l’Alto Evoluzionario, in estrema sintesi il Josef Rudolf Mengele dell’MCU: crudele senza via di scampo, feroce nei suoi eccessi d’ira e sottilmente sadico persino nei suoi momenti di calma.

Lui, la commozione per l’arco di Rocket e altre aggiunte come il sorprendente Adam Warlock – protagonista addirittura di un’allegorica Creazione di Adam(o) – sono gli elementi che garantiscono il successo di Guardiani della Galassia Vol. 3, un The Last Dance per tutte le parti in causa che può essere considerato, senza neppure troppa concorrenza, come il più riuscito e maturo film Marvel dai tempi di Avengers: Endgame. A Kevin Feige mancherà la visione di James Gunn, ai fan la squadra di underdog più sgangherata dell’universo.

Foto: Marvel

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