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Aquaman

Il cinecomic di James Wan con Jason Momoa e Amber Heard è uno tsunami di ironia e follia

Aquaman

Il cinecomic di James Wan con Jason Momoa e Amber Heard è uno tsunami di ironia e follia

Jason Momoa in Aquaman
PANORAMICA
Regia (3)
Interpretazioni (2.5)
Sceneggiatura (2)
Montaggio (2.5)
Fotografia (2.5)
Effetti speciali (4.5)

Aquaman (Jason Momoa) è il figlio del guardiano del faro Thomas Curry (Temuera Morrison) e della regina Atlanna (Nicole Kidman). Il suo vero nome è Arthur Curry e i suoi superpoteri sono legati al regno acquatico: il personaggio dei fumetti creato nel 1941 da Mort Weisinger e Paul Norris può infatti spostare le maree e muoversi nelle profondità degli abissi a una velocità supersonica e impressionante.

Aquaman ci ha messo ben settantotto anni per arrivare al cinema e finalmente ce l’ha fatta grazie a James Wan, sovrano indiscusso dell’horror commerciale contemporaneo. Un matrimonio inaspettato e sorprendente, tra due mondi che si uniscono a danno vita a un risultato che era impossibile prevedere: il cinecomic targato DC è infatti un congegno spettacolare dall’ambizione grafica sconfinata, che nelle scene spettacolari spinge a mille sul pedale dell’acceleratore.

Il Protettore degli Oceani, altro nome con cui Aquaman è noto, ha il volto dell’attore Jason Momoa, che lo riprende dopo Justice League, e non poteva esserci a monte scelta più azzeccata, data la vena sorniona e carismatica del suo personaggio pubblico. Questo gigante di origini hawaiane, alto quasi due metri e dal look indubbiamente esotico, rispecchia alla perfezione, dal primo all’ultimo bicipite, lo spirito di un blockbuster dalla vena spaccona e dal taglio espressivo decisamente rutilante.

Talmente tanto da affrontare di petto il cattivo gusto e la battute al limite del whatafuck, da intavolare per il pubblico un luna park acquatico che non smette mai di roteare a mille all’ora nelle profondità oceaniche. Le sequenze d’azione sott’acqua, in particolare l’impressionante finale, sono piene di soluzioni e trovate così scriteriate, accumulatrici e fuori di testa da risultare allo stesso tempo folli e ironiche. Come se Wan alzasse vertiginosamente le proprie ambizioni action degne di un kolossal da 200 milioni di dollari e al contempo intendesse offrire a questa lussuria visiva un controcampo oltre la soglia del buffo, dalle parti del cartoonesco (l’apice, in tal senso, è probabilmente il segmento di film ambientato in Sicilia).

Con Aquaman la DC sembra voler ricorrere la Marvel sul suo stesso terreno: fare il pieno di humour ma provando a superarla in corsa, come in uno slancio in vasca da pompare fino all’ultima, forsennata bracciata. Un approccio che si può legittimamente rifiutare, dato l’alto tasso di compiacimento sfrenato e senza limiti, ma che crea un precedente indubbiamente mastodontico nell’ambito del cinema supereroistico contemporaneo e non può non lasciare indifferenti.

La vicenda narrata, con queste premesse, è meramente al servizio di un’orgia di CGI che si muove dal mare alla terra senza soluzione di continuità, fa a pezzi il mondo emerso e regala a tutto il cast, dalla regina Mera di Amber Heard al consigliere Vulko di Willem Dafoe passando per il villain fraterno Ocean Master di Patrick Wilson, un’oasi di divertimento, una gita in permesso premio e senza conseguenze.

Con queste deliranti premesse Aquaman non può che essere un film ibrido e bastardo, proprio come il suo tamarro protagonista rispetto alla sua sua doppia origine, umana e acquatica. Capace di incrociare furiosamente e in maniera quasi psichedelica le correnti dell’alto (i conflitti shakespeariani tra fratelli alla Thor) e del basso (il popcorn movie da guilty pleasure totale) nello stesso irresistibile abisso. A sapersi lasciare andare, e soprattutto se si è fan tanto degli squali quanto delle canzoni pop allo stesso tempo dolci e aggressive sparate a mille all’ora (Africa dei Toto, It’s Not Good dei Depeche Mode e chi più ne ha più ne metta) il divertimento è assicurato. Perfino travolgente, proprio come uno tsunami di immani proporzioni.

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