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Quando c’era Marnie: la recensione di Fiaba Di Martino

Quando c’era Marnie: la recensione di Fiaba Di Martino

Anna ha dodici anni ed è un’outsider. Non di quelli simpatici, ammiccanti, soltanto un po’ sfigati, del genere Harry Potter o Peter Parker. È ruvida, capace di essere respingente, con notevoli difficoltà relazionali, e un rifiuto violento verso se stessa. Affetta da asma (psicosomatica), viene per questo motivo mandata dall’apprensiva zia (in realtà sua tutrice) a trascorrere l’estate in campagna dai di lei parenti.
All’inizio, nonostante la calda e disinteressata accoglienza della coppia, per la solitaria ragazzina le cose non cambiano, finanche paiono peggiorare: poi, un giorno, misteriosamente calamitata nei pressi di una villa antica e disabitata che sorge su un acquitrino, Anna s’imbatte nella dolce Marnie. Le due sono accomunate da intense affinità elettive e da una ferita di abbandono (i genitori di Anna sono morti, quelli di Marnie la trascurano) che rende irta di insicurezze e paure la terra della preadolescenza.

Attraverso quest’incontro (generato, come scopriremo, non solo dalla comunanza, con sfumature romance, dei loro spiriti, ma anche dal desiderio di protezione e perdono), grazie al rapporto segreto e prezioso che instaura con Marnie – amica immaginaria, alter ego, anima gemella, o qualcosa di più? -, Anna impara a vivere nel mondo, a saltare con dolcezza quella linea invisibile che la separa dagli altri, quella barriera autoeretta per istinto di sopravvivenza, per timore di non essere all’altezza e per dolore primario.

Il regista Yonebayashi smussa i difetti veniali dell’opera prima, e impianta Quando c’era Marnie su un connubio perfetto tra la narrazione candida e avvolgente e lo stile pulito e particolareggiato del tratto animato, curando in maniera millimetrica i personaggi principali così come quelli minori. Basato sul grande classico britannico di Joan G. Robinson (datato 1967), il film richiama le emanazioni evocative del miyazakiano La Città Incantata, con quella villa che s’anima all’accendersi della bassa marea (un po’ come il luna park degli spiriti che prendeva vita al calar del sole), e con quei legami che trascendono il tempo scorrendo tra suggestione onirica e memoria corporea. E poi l’amicizia assoluta, l’amore puro e impossibile nella concretezza della realtà, vissuto in Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento per motivi opposti ma emotivamente altrettanto significativi.

Quando c’era Marnie dà forma, voce e identità all’incarnazione del sogno perduto dell’infanzia, alla nostalgia di un incanto innocente abbandonato troppo presto, alla repressione delle prime rabbie adulte (causate nel caso di Marnie addirittura da violenze domestiche), e alla lenta consapevolezza della crescita necessaria ma maledettamente difficile, prova di fuoco come quella dello stilo. E mentre, nel bellissimo e straziante finale, ci allontaniamo insieme ad Anna, il commiato è doppio: salutiamo un legame indimenticabile e stratificato, e salutiamo lo Studio Ghibli (che chiude ufficialmente i battenti) tra dolce struggimento e un malinconico magone, augurandoci che il nostro sia solamente un affettuoso arrivederci.

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Mi piace: La perfezione del romanzo di formazione, il tratteggio visivo e interiore dei personaggi, i temi profondi messi in campo che vengono trattati con delicatezza.
Non mi piace: Il doppiaggio italiano forzatamente aulico.
Consigliato a chi: A tutti.

VOTO: 4/5

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