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The Imitation Game: la recensione di ale5b

The Imitation Game: la recensione di ale5b

Benedict Cumberbatch diventa Alan Turing, il matematico inglese che ha salvato milioni di vite durante la Seconda Guerra Mondiale decifrando Enigma, una macchina usata dai tedeschi per criptare i messaggi, la cui funzionalità è stata per anni oggetto di mistero.

In una brillante ricostruzione storica degli eventi, Morten Tyldum, regista norvegese, dirige The Imitation Game, un thriller avvincente ed emotivo che vezzeggia il mito dell’eroe e lo accosta alla faccia oscura che ne è diventata, di fatto, la propria spada di Damocle, portandolo a togliersi la vita prematuramente.

La fotografia di un Inghilterra sempre affascinante, anche in tempo di guerra, offre il consueto vestito pastello nel quale immergere le atmosfere plumbee cariche di pathos. La storia inizia dalla fine, dal 1951, giorno in cui Alan Turing si presenta al mondo da perfetto sconosciuto. O meglio, da strana figura dai gusti sessuali discutibili, reato più che mai condannabile a quei tempi. In realtà quello che Turing nasconde ha a che fare con qualcosa di più memorabile, la sua identità è condannata a restare oscura. Caratterizzato da uno strambo autismo, si scoprirà aver giocato un ruolo fondamentale nella fine della guerra, contribuendone in maniera decisiva alla conclusione anticipata.

Tracce e sottotracce. Le atmosfere british emergono nel loro massimo splendore. Se è vero che la componente di spionaggio è orchestrata con la solita eleganza sofisticata, dove dubbi, sospetti e intrecci narrativi stuzzicano la curiosità, è altrettanto notevole come le storpiature ironiche – ovviamente nel classico humor – legate ai personaggi, riescano a sollevare la pellicola da un eccessivo carico di superbia. Ne beneficia la visione che scorre liscia e coinvolgente. Sullo sfondo, lo scenario bellico gioca una bellissima partita contro il tempo, il ritmo incalza minuto dopo minuto soffocando la debole fiamma della speranza mentre Turing trae ispirazione e stimoli aprendo la sua fragilità a se stesso prima che agli altri. Ne nasce una metamorfosi costruttiva, merito anche del rapporto con Joane, figura femminile con la quale instaurerà un rapporto sentimentale platonico.

La vita di Turing, costantemente sotto il fuoco nemico, tempra il suo grande ego. Bambino, professore, genio, mostro, eroe. Mille sfumature di una vita breve, appena quarantuno anni, vissuta in una bolla di vetro. Un accanimento contro un uomo fragile, sensibile e introverso. Una personalità debole e arrogante, chiusa in un mondo circoscritto, delimitato da una visione allo stesso tempo intima e ambiziosa.

Cumberbatch – delizioso, pronto ad entrare nella rosa dei candidati alla statuetta – ne impersona una splendida contraddizione, raccontando le gesta di chi ha avuto la narcisistica presunzione di poter fare da solo e chiedere aiuto senza la minima esitazione, di chi è diventato un angelo per pochi e il diavolo per molti.

La regia di Tyldum lascia campo libero all’estro dell’attore inglese, perno centrale e motore trainante di tutta la sceneggiatura.
Contornato da altri attori britannici doc come Kiera Knightley, Matthew Goode e Mark Strong, The Imitation Game è una piccola perla di cinematografia che racconta la storia di chi è arrivato a sporcarsi le mani di sangue per salvare milioni di vite. Un inno al sacrificio privo di fanatismo, un valzer dall’epilogo macabro, quasi beffardo.

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