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Un re allo sbando – King of Belgians

Un re allo sbando – King of Belgians

Nicolas III (Peter Van den Begin), re dei belgi, è un sovrano sbalestrato e in crisi esistenziale, alle prese con un viaggio in Europa che tradisce senza mezzi termini la condizione frammentaria e incerta in cui versa, fatalmente, il Vecchio Continente. Mentre l’uomo si trova in visita di stato a Instabul, la parte meridionale del Belgio, la Vallonia, si dichiara indipendente. Per il monarca si rende così necessario un ritorno in patria…

I registi belgi Peter Brosens e Jessica Woodworth, che nel 2013 avevano sedotto la Mostra del cinema di Venezia col fascinoso e ammaliante La quinta stagione, tornano dietro la macchina da presa con un mockumentary paradossale e vitale, nel quale la formula del falso documentario è usata nella maniera più illuminante e intelligente possibile. Il genere, spesso piegato verso esiti piuttosto fastidiosi e convenzionali, trova invece in questo caso una forma in grado di innalzarne a dovere il valore e gli obiettivi, le possibilità e le traiettorie.

Nel film di Brosens e Woodworth, presentato a Venezia 2016 nella sezione Orizzonti, alle calcagna del sovrano belga c’è Duncan Lloyd, ex reporter di guerra inglese e personaggio utile a moltiplicare le prospettive interne al racconto, a fornire un filtro istantaneo delle vicende narrate e uno spessore assai stratificato alla visione dei due registi. Il loro sguardo è abile efficace nel trasformare un dispositivo talvolta logoro, almeno stando alla media del cinema contemporaneo, in qualcosa di sfrontato e sincero, straniante e profondo, buffo e drammatico. Capace di parlare, tutt’altro che in filigrana, dell’inadeguatezza disorganica dell’Europa di oggi. Dei suoi confini sospesi tra involuzione e paradossi, e dei suoi molti fronti irrisolti.

Usano il filtro della fantapolitica apocalittica, Brosens e Woodworth, del disastro metereologico e dell’ironia ora beffarda ora sghemba (il Belgio come mera espressione geopolitica, ad esempio). Attraversano i Balcani e il passato recente della Storia, intrecciandolo agli umori foschi dei tempi della Brexit, dei migranti, del fronte turco incandescente, dei rifugiati siriani. In un cinema magari fragile e volutamente caricaturale, in miniatura e dai contorni metacinematografici e intellettualistici, ma in grado di intavolare, nella maniera più limpida possibile, un contatto col presente e con le sue mille facce, una più dolente e sfumata dell’altra.

Il fatto che il film sia stato ideato nel 2014 conferma la bontà delle intuizioni dei due registi e la loro acuta sensibilità per gli orizzonti globali. Molto interessante anche la coralità del film, che per mezzo di un viaggio sotto mentite spoglie attraverso dei confini sa mettere in luce molto bene anche la fragilità e i risvolti precari dei propri personaggi, i quali non a caso approdano, nel finale, a uno stato d’animo singolare e lunare, proprio dei viaggiatori autentici. O di chiunque, con consapevole malinconia, non viaggia per vedere cose nuove ma per acquisire occhi nuovi, come diceva quello.

Mi piace: l’utilizzo brillante e intelligente del mockumentary, colpendo nel segno per parlare dell’Europa di oggi

Non mi piace: alcune forzature stranianti e intellettualistiche

Consigliato a: chiunque sia interessato a vedere i paradossi del Vecchio Continente odierno sviscerati in maniera paradossale e non banale

Voto: 3

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