New York Movies: Molto forte, incredibilmente vicino. Alla scoperta delle location del film

Si conclude con il toccante film di Stephen Daldry la nostra carrellata di film che ci hanno portato nel cuore della Grande Mela. E chissà che non torneremo a perderci tra le strade più cinematografiche al mondo

Il giorno più brutto. Questo è stato l’11 settembre 2001 per New York. Il mondo artistico ha fatto fatica, quanto il mondo reale, a metabolizzare questo evento devastante. Pittura, letteratura, cinema si sono dovuti riprendere dallo shock prima di affrontarne i temi, di scavare dentro le emozioni dell’attentato, inaspettato come tutti gli attentati, senza cadere nella retorica o nella ruffianeria del facile effetto. Nel 2005, quattro anni dopo la tragedia, lo scrittore Jonathan Safran Froer pubblica Molto Forte, Incredibilmente Vicino (Extremely Loud & Incredibly Close), uno dei romanzi migliori e più originali sull’accaduto, grazie anche  a soluzioni grafiche ad effetto che  costituiscono parte integrante del romanzo.

Oskar Schell: «Se il sole esplodesse, non ve ne accorgereste se non dopo otto minuti perché questo è quanto ci mette la luce a viaggiare verso di noi. Per otto minuti il mondo sarebbe ancora luminoso e caldo. Era passato un anno dalla morte di mio padre e sentivo che i miei otto minuti con lui stavano per finire»

Passano altri 7 anni e il romanzo, qualcuno dirà finalmente,  diventa un film. Pur con le inevitabili polemiche sui cambiamenti che la produzione e la sceneggiatura di Eric Roth apportano al testo letterario, il risultato è comunque straordinario e struggente. La trama del film si basa sulla figura di Oskar Schell (Thomas Horn), un ragazzino di nove anni che perde il papà, uno splendido papà interpretato da Tom Hanks, nel crollo delle Torri. Oskar è un bambino problematico e intelligentissimo, quasi geniale. Appassionato di invenzioni, il papà lo stimola intellettualmente con delle cacce al tesoro, ma l’ultima missione resta incompiuta. Oskar nell’armadio del genitore trova una chiave e un nome: “Black”, e Oskar comincia a girare per la città per incontrare tutti i 472 “signor Black” di New York City. Al bambino mancano le parole del padre, che suonavano alle sue orecchie come istruzioni per l’uso della vita. Sarà un viaggio misterioso e toccante quello che Oskar farà per la città, con incontri ordinari e straordinari come quello con l’anziano senza nome, noto come  “l’inquilino”, che lo aiuterà nella ricerca senza mai dire una parola, interpretato da uno superbo Max Von Sydow.Il film sembra un po’ troppo confezionato per l’Oscar, diretto dall’abitueé alle nomination Stephen Daldry ma ciò non ne inficia più di tanto la capacità di coinvolgere lo spettatore, e chi ha la lacrima facile farà sempre bene ad avere qualche kleenex a portata di mano.

Oskar Schell: «Questo era il gioco preferito da me e mio padre. La chiamavamo “spedizione esplorativa”»

In una delle sue spedizioni esplorative, nel tentativo di risolvere gli enigmi elaborati dal papà, Oskar compra qualche cianfrusaglia da alcuni barboni, per poi commentare il frutto delle sue ricerche con il padre a pranzo, da Barney Greengrass, un piccolo ristorante specializzato in salmoni e storioni, attivo sin dal 1908 e che diventerà uno dei punti di riferimento della vicenda, presente in cinque sequenze del film. L’indirizzo è il n. 541 di Amsterdam Avenue, tra la 86esima e la 87esima strada.

Oskar Schell: «La volta successiva che ho sentito la voce di mio padre è quando sono tornato da scuola, il mattino del giorno più brutto»

Oskar torna a casa, e la sua casa si trova al n. 215 west della 98esima, angolo Broadway Street, in complesso noto come The Gramont, costruito agli inizi del 900 e dotato di tutti i comfort e servizi, compreso il portiere, qui interpretato un bravissimo John Goodman. Per chi fosse interessato, si tratta di appartamenti rifiniti, alcuni anche  in vendita al momento in cui scrivo, tra i 600.000 e i due milioni di dollari, a seconda della metratura.

Oskar Schell: «I ponti in particolare mi gettano nel panico»

Oskar inzia la sua caccia alla prima famiglia Black. Abby Black (Viola Davis) sta a Brooklyn, nel quartiere di Fort Greene. Il ragazzino non sopporta i mezzi pubblici, lo gettano nel panico e decide di andare a piedi. Ma anche i ponti lo gettano nel panico… Il ponte in questione è il Manhattan Bridge, ponte sospeso che attraversa l’East River sino a Brooklyn. È lungo 2.089 metri ed è stato completato nel 1912, su progetto dell’ingegnere Ralph Modjeski.

Oskar tirerà e armato del suo tamburello a sonagli che scandisce il ritmo ce la farà, lo attraverserà.

Oskar Schell: «Ogni volta che uscivo da casa mi sentivo un po’ più leggero perché mi avvicinavo a papà. Ma mi sentivo anche un po’ più pesante, perché mi allontanavo da mamma».

La mamma, una Sandra Bullock concentrata a conquistare un oscar come miglior attrice non protagonista che non vincerà, non riesce a risollevare il rapporto con il figlio dopo un evento così devastante. E il ragazzo trova un alleato, e un conforto, nell’anziano e silenzioso “Inquilino” Max Von Sydow che lo accompagnerà nella sua ricerca. Uno dei primi, grandi, risultati che otterrà l’Inquilino è di far salire Oskar sulla metropolitana. Ciò avviene alla fermata della 86esima, all’altezza di uno dei negozi della catena Banana Republic, al n. 206 lato Est della 86esima. Piano piano Oskar affronta la città, e la vita.

Oskar Schell: «Papà era uno scienziato ma è diventato un gioielliere per mantenere la famiglia».

La gioielleria di famiglia Schell & Son si trova al n. 2586 della Broadway, tra la 97th e la 98th street. A quell’indirizzo c’è una vera gioielleria, The Jewel Boutique, gestita dall’indiano Harmeet Singh che nel sito ufficiale del negozio non perde l’occasione per mostrarsi in compagnia di Tom Hanks.

Oskar Schell: «Sono contento di aver avuto una delusione che è molto meglio di non aver avuto niente!».

L’arcano che lega la chiave misteriosa all’altrettanto misterioso signor Black (Jeffrey Wright) finalmente si chiarisce. Oskar non trova quello che sperava, ma ugualmente trova qualcosa, qualcuno, una storia, che lo aiuteranno a crescere, a convivere con quell’insanabile dolore della scomparsa del papà e a liberarsi almeno in parte dei suoi rimorsi, dei suoi incubi per ritrovare quel coraggio che tanto cercava di trasferirgli il papà.

Il dolore lo accompagna nella linea 2 della metro di New York, quella che va dalla 241 st di White Plains, zona in grande espansione e riqualificazione, sino a Brooklyn.

La speranza, la forza, Oskar la ritrova su un’altalena di Central Park, il cuore di New York City, su quell’altalena che, come mille altre cose della città, lo inquietava e che ora non lo inquieteranno più.

E, a ben vedere, penso sia giusto chiudere qui, con Central Park, questo viaggio nelle location newyorkesi. Quel parco, immaginato, sognato, visitato dieci, cento, mille volte da ogni New York addicted, è e sarà sempre un viatico per la fantasia con pochi rivali al mondo.

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