Sono passati vent’anni dal 1999, anno di messa in onda del primo episodio delle avventure de Il commissario Montalbano. Un appuntamento, quello con la creatura letteraria dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, che il piccolo schermo e l’interpretazione di Luca Zingaretti hanno legato definitivamente al cuore del pubblico, registrando ascolti considerevoli che non conoscono cedimenti. Nemmeno nelle innumerevoli repliche, oltre 150, e per non parlare del riscontro all’estero, con le vendite internazionale che vanno a gonfie vele.
Per festeggiare il ventennale, celebrato con tanto di taglio della torta in conferenza stampa a Viale Mazzini da parte di tutto il cast, ecco arrivare il ritorno di Salvo Montalbano e del commissariato di Vigàta con due nuovi episodi, L’altro capo del filo e Un diario del ’43, tratti dagli omonimi romanzi editi da Sellerio e diretti come sempre da Alberto Sironi: il primo, che abbiamo visto in anteprima, andrà in onda stasera, lunedì 11 febbraio, mentre il secondo approderà in prime time su Rai 1 il prossimo 18 febbraio. Con questi ulteriori due tasselli, la collezione di Montalbano arriva a contare in totale 34 film per la tv.
Ne L’altro capo del filo a fare prepotentemente irruzione, come spesso accaduto negli scritti di Camilleri, è un tema di fortissima attualità: i flussi migratori del Mediterraneo, principale terreno di dibattito nell’agone politico di questi anni. Una disputa che negli ultimi mesi, con l’arrivo del governo a trazione giallo-verde, si è trasformato in un nodo ancora più incandescente e cruciale.
Al centro del racconto c’è l’ennesimo, efferato caso di cronaca: una giovane e bellissima ragazza, Elena (Elena Radonicich), amica di Livia (Sonia Bergamasco), compagna di Montalbano, viene ritrovata morta nella sua sartoria. Un feroce omicidio che darà vita un’investigazione intricata e, come d’abitudine, piena di non detti, psicologie macchinose, rompicapi da sciogliere.
Montalbano è affiancato come d’abitudine dai suoi fedelissimi, Mimì Augello (Cesare Bocci), Peppino Mazzotta (Fazio) e Angelo Russo (Catarella), ma la contemporaneità del delitto e degli sbarchi dei migranti, che si susseguono senza sosta, lo porteranno a doversi affidare ancora una volta alla lucidità di pensiero e all’integrità morale che da sempre lo contraddistinguono, a dispetto di un carattere che in più di un’occasione può apparire brusco e spigoloso.
Montalbano è un’apprezzata maschera popolare e come tale si conferma sempre uguale a stesso, piacevolmente monolitico, con una componente di familiarità e vicinanza ai pregi e ai difetti di tutti noi talmente marcata da giustificare la generosa empatia del pubblico nei suoi confronti. L’altro capo del filo scomoda gli uomini persi in mare e le ragazze violentate durante le traversate e lo fa soprattutto per mostrarci la pietas e le insicurezze del protagonista, oltre alle ricadute sociali di un paio di personaggi arabi già integrati nel tessuto civile di Vigata: un medico arabo e un’assistente maghrebina della sarta uccisa. Il tema, com’era prevedibile, ha già scatenato polemiche preventive, ma è affrontato in maniera piana e distesa: non ci sono risposte né domande, ma solo una compassionevole, umana presa di coscienza.
Il team di sceneggiatori, capitanati come d’abitudine da Francesco Bruni, provvede a smorzare la prosa di Camilleri per adattarla, nella maniera più fluida possibile, alla narrazione televisiva e generalista. Agli snodi di un racconto che non si è mai posto il dovere di osare sul piano espressivo e continua, umilmente, su questa strada, mantenendo come faro il piacere di ritrovarsi intorno a un sistema condiviso di valori e di affetti. Un patrimonio che coniuga l’attualità al rimosso macabro e misterioso dell’animo umano, il presente e l’eterno, in linea con lo sterminato bagaglio culturale di un terra sfaccettata e arcaica come la Sicilia.
Nel prossimo episodio, Un diario del ’43, la narrazione porterà Montalbano a fare i conti con tre storie di vecchia data che tornano a far sentire la propria eco. A Vigàta verrà ritrovato un un vecchio quaderno di appunti appartenuto a un ragazzo, allora quindicenne, affascinato dall’ideologia fascista. In quelle pagine, stando alla sinossi rilasciata, il giovane confessa di aver compiuto una strage nel settembre del ’43. Mentre al commissariato i tenta di far luce sulla vicenda, un arzillo novantenne chiede a Salvo di far cancellare il suo nome finito erroneamente in una lapide di caduti in guerra. Il giorno dopo un ricco imprenditore della città, anche lui novantenne, verrà ritrovato cadavere.
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