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Addio Paul Newman, ultimo grande di Hollywood

Se ne va a 83 anni dopo una lunga battaglia contro un tumore l'ultima leggenda del cinema Usa. Protagonista di 60 anni di film (i più famosi, quelli col "gemello" Robert Redford). E di una vita sempre in corsa...

E alla fine se n’è andato anche l’ultimo grande di Hollywood. Venerdì 26 settembre è morto Paul Newman, dopo una battaglia contro un grave tumore combattuta per lungo tempo. Aveva 83 anni, e ancora quegli occhi di ghiaccio che avevano contribuito a renderlo una leggenda del cinema internazionale. Aveva sempre voluto fare l’attore, Paul Newman, tanto da lasciare il natio Ohio (era nato a Cleveland il 26 gennaio del ’25) per frequentare prima la Yale School of Drama, e poi il mitico Actors Studio di New York (accanto a James Dean), dove mise a punto il celebre “metodo” che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera e dove incontrò una collega che sarebbe diventata l’amore di una vita: Joanne Woodward, sua partner anche in molti film. Bello era bello, anzi bellissimo; e si sa che a Hollywood è un ottimo lasciapassare. Ma era anche bravo, anzi bravissimo, come dimostra nei suoi film più amati: da Lassù qualcuno mi ama (1956) a La gatta sul tetto che scotta (1958), da Lo spaccone (1961) a Hud il selvaggio (1963, portato alla Mostra di Venezia, da cui resta il ricordo della bella intervista di Oriana Fallaci), da Nick mano fredda (1967) a L’uomo dai sette capestri (1971). Un talento che si incarna con la maturità, e anche grazie a uno dei sodalizi più produttivi del cinema Usa: quello con l’amico Robert Redford, il suo “gemello” come dicono in molti, protagonista con lui di due film schizzati al top dei capolavori a stelle e strisce, Butch Cassidy (1969) e La stangata (1973). La consacrazione è raggiunta, ma bisogna aspettare gli anni ’80 – per l’esattezza, il 1986 – per l’agognato premio Oscar: quello assegnatogli per Il colore dei soldi di Martin Scorsese, sequel ideale de Lo spaccone (e, ironia della sorte, arrivato tra le mani di Newman ad appena un anno da quello attribuitogli per la carriera). I suoi ultimi ruoli restano impressi nella memoria: dal cinico businessman di Mister Hula Hoop (1994), diretto dai fratelli Coen, al pardino della mala irlandese di Era mio padre (2002) di Sam Mendes. Tra un film e l’altro, la sua è stata anche una vita di teatro, di battaglie (quella contro la droga, che gli uccide un figlio per overdose), di imprese commerciali (è stato il primo a mettere la sua faccia su una celebre linea di prodotti alimentari, la Appelation Newman Controlée), di corse in auto sportive, sua grande passione fino agli ultimi anni (e non a caso il suo ultimo “ruolo” è il doppiaggio del vecchio Doc in Cars). Lascia i suoi grandi occhi blu alla nostalgia dei cinefili più anziani, e alla memoria dei più giovani. Addio, Paul.

Ma.Ca.

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