Da vampiro assetato di sangue in True Blood a uomo delle scimmie, passando per acclamate pellicole d’autore come Melancholia e Diario di una teenager, l’affermazione allo statuto di star dello svedese Alexander Skarsgård, 39 anni, è sotto gli occhi di tutti. Quando, tre anni fa, ottenne la parte di Tarzan, in molti pensarono che fosse la scelta ideale: chi meglio di lui, con quei lineamenti perfetti, il fisico slanciato e il suo metro e 94 di altezza, poteva librarsi tra le liane della giungla incarnando uno dei personaggi più iconici della letteratura americana? Lo incontriamo a Londra, sul set del film, pochi minuti dopo aver finito di girare una scena con Samuel L. Jackson, con ancora addosso il costume di Lord Greystoke.
Cosa ti ha attratto di questo progetto?
«Il fatto che avesse un approccio molto interessante su un personaggio così epico e classico. Inoltre, rappresentava una bella sfida come attore: all’inizio del film Tarzan è infatti un uomo che ha trovato il proprio posto nel mondo e conduce una vita borghese. Questa non è la storia del ragazzo cresciuto nella giungla che si affaccia sul mondo per la prima volta e scopre cosa significa vivere insieme ai suoi simili. Tarzan abita nella Londra vittoriana da quasi un decennio e quindi abbiamo a che fare con un vero e proprio lord inglese».
Cosa significa per lui andare nella giungla, dieci anni dopo averla lasciata?
«Rappresenta il tornare quasi a una vita precedente e, quindi, affrontare il passato e riflettere sulla propria identità. Tarzan ha intenzione di restare a Londra, la giungla ormai è lasciata alle spalle. Ma l’invito di George Washington a recarsi in Congo in veste di emissario al commercio del Parlamento cambierà molte cose, creando un conflitto dentro di lui».
Ti riferisci alla dicotomia tra civilizzazione e vita selvaggia?
«Esatto, questo era uno degli aspetti più stimolanti: in fondo Tarzan è come noi, qualcuno che sogna di inserirsi nella società e di farne parte. Ma allo stesso tempo ha un aspetto più animalesco e istintivo che cerca di tenere a freno. Mi sembra che si tratti di dinamiche con cui tutti possono relazionarsi. Non è un errore definirlo un animale, perciò sarà emozionante vederlo riscoprire, gradualmente, gli aspetti più brutali del suo carattere. The Legend of Tarzan è un grande film d’azione ma la cosa bella è che, rispetto ad altre pellicole appartenenti al genere, ha un’anima. E questa è una cosa rara da trovare a Hollywood».
Che ricordi avevi del personaggio?
«Mio padre aveva moltissime videocassette dei film degli anni ’40 interpretati da Johnny Weissmuller (famoso nuotatore e attore americano, ndr). Ne ho rivisti un paio mentre mi preparavo per il ruolo».
Che tipo di lavoro hai fatto dal punto di vista della fisicità?
«Naturalmente tutto quell’aspetto è stato fondamentale. Ho lavorato a lungo con Wayne McGregor, un coreografo eccezionale che ha iniziato a seguirmi due mesi prima dell’inizio delle riprese. Insieme a lui ho cercato di immaginare il modo in cui Tarzan si muove, cammina o combatte. Questo varia a mano a mano che la storia procede, ma abbiamo comunque fatto in modo che, anche quando si presenta come un lord inglese, Tarzan abbia una fisicità strana, interessante».
Mettere su muscoli è stato difficile?
«Direi abbastanza intenso. Mentre mi preparavo per il film stavo ancora completando le riprese dell’ultima stagione di True Blood. È stata una grande sfida. Ma ero incredibilmente motivato ed eccitato e questo mi ha aiutato nei momenti di difficoltà».
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Foto © Dark Horse Entertainment/Jerry Weintraub Productions/Riche Productions/Village Roadshow Pictures
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