Nella splendida cornice romana dell’Hotel Bernini Bristol è stato presentato American Pastoral, opera prima dell’attore Ewan McGregor che si avvale di due attrici del calibro di Jennifer Connelly e Dakota Fanning per il lungometraggio che lo vede dietro oltre che davanti la macchina da presa. E sono proprio Ewan e Jennifer a raccontarci lo sviluppo di un progetto così ambizioso, essendo basato sul romanzo Premio Pulitzer omonimo di Philip Roth.
Tirando le somme di questa tua prima esperienza come regista, come ti sei trovato a dover interpretate questo nuovo “ruolo professionale”?
Ewan McGregor: «È stata una sfida impegnativa girare un progetto di questo tipo in un lasso di tempo così ampio. Nei 13 anni di gestazione della lavorazione ho avuto tanto tempo per interfacciarmi con le figure essenziali nella creazione di un film e quindi ho collaborato a stretto contatto con i reparti di scenografia, trucco, costumi in un modo sostanzialmente nuovo, diverso da quando ero solamente attore. Ho trovato davvero eccitante poter realizzare davanti la macchina da presa la visione di un film che avevo cullato nella mia mente. Ho cercato di costruire tutte le scene insieme agli attori, tenendo presente il loro punto di vista e mi sono reso conto che un regista esercita una sorta di ruolo gestionale. Sono stato molto contento di potermi mettere in gioco, mi ha fatto crescere davvero tanto».
Nella tua carriera di attore quale pensi sia stato il regista, tra quelli con cui hai avuto modo di lavorare, che ti ha influenzato di più?
Ewan McGregor: «Danny Boyle è stato il primo regista con cui ho collaborato e, indirettamente, ha influenzato molto il mio modo di recitare e di pormi sul set. Una cosa che apprezzavo molto nel suo modo di lavorare era il fatto che Danny era molto attento a ciò che facevano gli attori. Era lì, pronto ad osservarti e a cogliere quello che volevi esprimere. Credo sia indispensabile per un bravo regista saper stabilire un rapporto empatico con gli interpreti e penso proprio di averlo imparato stando a stretto contatto con Danny».
Esiste una modalità di regia “corretta” secondo te, in base a quanto hai potuto osservare sui vari set di cui sei stato protagonista e alle varie collaborazioni che hai intessuto con alcuni tra i più importanti registi al mondo?
Ewan McGregor: «Per oltre 24 anni ho lavorato con registi incredibili e sicuramente ho imparato da tutti, mi ha influenzato ognuno di loro, anche quelli meno talentuosi, perché si può imparare da tutti, soprattutto nella veste di attore, che è uno dei più vicini testimoni delle diverse modalità di regia. Così ho appreso che non esiste un modo corretto ed unico di girare, piuttosto esistono cose, trovate che funzionano ed altre che non portano da nessuna parte».
In che modo ti sei avvicinato al progetto, avevi già letto American Pastoral di Philip Roth?
Ewan McGregor: «Non avevo letto il romanzo di Roth prima di interessarmi al progetto e in realtà il primo contatto è avvenuto prendendo tra le mani l’adattamento scritto da John Romano. Non appena lessi lo script, rimasi profondamente colpito dalla storia di forti contrasti che descriveva. American Pastoral parla di generazioni in conflitto, un conflitto che sfocia nella perdita dell’adorata figlia da parte di un padre ed, essendo anch’io padre di ben quattro figlie, mi sono immedesimato nel dolore che poteva provare il mio personaggio. È stato struggente».
Jennifer, Ewan si è immedesimato nel suo personaggio facendo leva sul suo essere padre. Pensi che il tuo personaggio, Dawn, la bellissima moglie dello “svedese”, abbia dei punti in comune con il tuo essere mamma?
Jennifer Connelly: «Non credo che Dawn mi assomigli come madre però ero ugualmente, forse ancora di più, interessata ad immedesimarmi nel suo punto di vista. Adoro interpretare personaggi che non mi assomigliano perché mi piace molto immergermi in un modo di essere diverso dal mio. In questo caso mi ha decisamente commosso essere Dawn, ho provato pena per il suo malessere e ho dato tutta me stessa per farlo emergere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA