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Amo solo LEI. Anche se non esiste: intervista a Joaquin Phoenix

Collezionista di ruoli mai banali, personalità volubile, la star americana affronta il rapporto tra realtà e virtualità nel film di Spike Jonze candidato agli Oscar

Amo solo LEI. Anche se non esiste: intervista a Joaquin Phoenix

Collezionista di ruoli mai banali, personalità volubile, la star americana affronta il rapporto tra realtà e virtualità nel film di Spike Jonze candidato agli Oscar

L’inquietante imperatore Commodo de Il gladiatore, lo psicotico allievo di Ron Hubbard in The Master, l’innamorato disturbato di Two Lovers, e ora lo scrittore innamorato di un’intelligenza artificiale in Lei, candidato all’Oscar…

Mentre ci accingiamo a incontrare Joaquin Phoenix, riavvolgiamo il nastro di una carriera costellata di personalità complesse e tormentate e facciamo gli scongiuri sul fatto che l’attore sia in giornata. La sua reputazione lo precede: selezioni durissime dei giornali invitati, insofferenza alle domande banali o private, scatti d’umore improvvisi.

D’improvviso lo vediamo uscire dalla suite in cui avremmo dovuto incontrarlo su tutte le furie a causa di una giornalista che ha usato un registratore dotato di obiettivo, quando gli accordi preliminari erano molto chiari: niente foto. Indossa un paio di jeans stretti, sneakers ai piedi, il colletto di una camicia bianca che spunta da un semplicissimo maglione blu scuro. Ha i capelli sotto le orecchie e se non fosse per qualche striatura grigia, sembrerebbe in tutto e per tutto un adolescente che sbraita. Poi l’ufficio stampa lo riporta alla ragione, mentre la giornalista chiede scusa e fa sparire il registratore nella borsa.

Ed eccolo che da furiosissimo diventa improvvisamente serafico e dice: «Possiamo tornare alla felicità? Non è successo niente. Siamo una happy family alla stessa tavola…». Questo è Joaquin Phoenix. Ora che Ii ghiaccio l’ha rotto lui, a noi non resta che andargli dietro.

Che cosa ti ha attratto del personaggio di Theodore?
«Trovo che Lei sia un concentrato di idee stimolanti ed entusiasmanti. Mentre leggevo la sceneggiatura la mia mente non riusciva a fermarsi un secondo».

Nel film si affronta il rapporto tra uomo e tecnologia: che rapporto hai con l’hi-tech?
«La tecnologia non è il diavolo, io ne sono entusiasta. Guardiamo per esempio i registi innovatori che usano effetti speciali e fanno cose meravigliose. Le storture nascono dagli eccessi, dagli abusi. Sono molto attratto dalla tecnologia, ma non posso dirmi un “tech guy”, perché ho solo l’iPhone e pochi altri congegni tecnologici. Però mi piace leggerne, capire il funzionamento».

Cosa pensi delle relazioni virtuali dipinte nel film? Ti piacerebbe vivere qualcosa di simile?
«A dir la verità, a me è capitato di vivere una situazione reale che sembrava virtuale. La questione profonda che pone il film è: “Che cos’è la realtà? Quali sono le vere emozioni?”.

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