La nona sinfonia della saga di Star Wars è pronta per essere suonata. L’ascesa di Skywalker uscirà nelle sale di tutto il mondo tra il 18 e il 20 dicembre – in Italia saremo tra i primi – ed è il capitolo finale della terza trilogia cominciata nel 2015 con Il risveglio della Forza e proseguita nel 2017 con il discusso Gli ultimi Jedi di Rian Johnson, la prima a essere prodotta e trainata dal marchio Disney, che promette di non chiudere e di sfruttare ulteriormente il potenziale illimitato di un universo fantascientifico e narrativo che nel corso dei decenni non ha mai accusato battute d’arresto, suscitando sempre interesse, curiosità, talvolta amore irrazionale e odio ingiustificato, da parte dei milioni di fan sparsi per l’intero pianeta. Come è dimostrato, dopotutto, dalla realizzazione delle “story” Rogue One e Solo e dalla loro agitata accoglienza, che ha causato confronti e scontri inediti e durissimi tra gli stessi fedelissimi della saga.
Dopo le critiche nei confronti del lavoro di Johnson, seppur non condivise all’unanimità dall’intero popolo “starwarsista”, il compito di dirigere l’orchestra è tornato a J.J. Abrams, il vero erede di George Lucas nonché il principale responsabile di una trilogia “disneyana” che si trova di fronte alla prova del nove. Questo episodio si annuncia come quello determinante per far entrare nel cuore di tutti una mastodontica operazione di rilancio e di rinnovamento di una saga che ha lasciato tra gli stessi adepti qualche perplessità su un’eccessiva mercificazione del prodotto.
Al di là degli indiscutibili interessi commerciali della Disney di attrarre le nuove generazioni anche da un punto di vista di merchandising, introducendo nuovi personaggi finalizzati a farsi “voler bene” dai più piccoli oppure smussando qualche asperità drammatica nella narrazione, il ritorno di Abrams risponde a una necessità di rassicurare il pubblico sulla certezza di una continuità con gli aspetti più amati della prima trilogia di Lucas, a livello di toni, immaginario e scrittura.